Se a ventiquattr’ore dall’inizio del decisivo dibattito nelle aule di Camera e Senato, l’incertezza sulla sorte del governo e della legislatura è ancora altissima, non minore – decisamente, anzi, ben più acuto e inquietante – è lo stato di sospensione che attraversa l’intero Paese, costretto in questo frangente ad assistere attonito e incredulo a uno psicodramma politico–istituzionale di cui non riesce a intravedere l’esito. Chiara è per ora soltanto la percezione, diffusa come mai forse prima tra i cittadini (e gli operatori economici e gli osservatori esteri…), dei rischi di involuzione che stiamo correndo. In parte, anzi, i primi segnali di appesantimento del quadro generale sono già stati spediti ieri dai mercati. Ma tutti sappiamo che il peggio arriverebbe se il percorso obbligato di risanamento e di paziente riavvio del circuito virtuoso ripresa–fiducia venisse interrotto in un questa fase cruciale e non si sa per quanto.
Ciò che più colpisce e che soprattutto sconforta, in tante dichiarazioni e ricostruzioni delle ultime frenetiche ore, è la stanca ripetizione di argomenti e versioni sulle cause del deragliamento in atto nella maggioranza «di servizio», costituitasi faticosamente appena cinque mesi fa attorno all’impegno di Enrico Letta. Colpisce e sconforta il modo in cui Silvio Berlusconi si è rivolto ieri ai parlamentari di un Pdl in disarmo, rispolverando per l’ennesima volta – e senza dare spazio a dibattito – recriminazioni e accuse di complotto ai propri danni, senza porsi minimamente il problema di una prospettiva (almeno) di medio periodo da proporre al suo schieramento e all’elettorato, davanti al quale il ri–fondatore di Forza Italia vorrebbe tornare quanto prima.Tutto come in un angosciante “déjà vu”, che ci riporta al novembre–dicembre dell’anno scorso, con la messa in crisi del governo Monti: gli stessi stilemi personalistici (davvero una pena quella definizione delle dimissioni in massa degli eletti pdl come “il più bel regalo” per il suo compleanno…), le ennesime rivendicazioni di virtù palingenetiche, la medesima noncuranza delle procedure e dei tempi necessari per attuare proprio quei passaggi indicati dal leader del centrodestra come conclusivi dell’esperienza di governo ieri dichiarata chiusa.Eppure la lezione del voto del febbraio scorso qualcosa dovrebbe aver insegnato anche ai più refrattari alla pratica del realismo. A cominciare dal crollo dell’affluenza alle urne senza precedenti in una consultazione politica, che penalizzò quasi allo stesso modo i due principali schieramenti in campo. Per finire con l’esplosione dei “grillini”, che certamente ha impedito l’annunciata vittoria del Pd e dei suoi possibili alleati, ma ha egualmente sbarrato la strada all’agognata rimonta del Pdl e limitato la presa elettorale della Scelta civica montiana. Né può illudere la ben misera prova di capacità politico–legislativa offerta del Movimento 5 Stelle fino dai primi giorni della presenza nel Palazzo. C’è forse qualcuno, dalle parti del centrodestra, che si illude per questa via di poter recuperare anche solo una minima parte dei voti volati via col vento della protesta? C’è qualcuno che pensa di riconquistare il voto moderato dopo aver dato ancora una volta – e con un simile spettacolo di irresponsabilità – il colpo di grazia a una legislatura nata male, ma che poteva persino riuscire a offrire all’Italia le riforme che attende e pretende? Le altre insufficienze e alterigie dei protagonisti della scena politica sono note. E il rischio è che l’insipienza dei protagonisti della cosiddetta “Seconda Repubblica” ridia inopinata capacità attrattiva alla politica dei comici.
Tutto, dunque, rischia di consumarsi all’insegna dell’irrazionalità. Perfino gli esperti di sondaggi e i consiglieri “tecnici” del Cavaliere devono averlo messo in guardia dal modo in cui l’opinione pubblica sta reagendo al suo strappo, come dimostra la mezza ammissione sulla “perdita di consensi” sfuggitagli ieri durante l’assemblea a Montecitorio. Ma a quanto pare niente sembra poter fermare la corsa verso una crisi che – lo ripetiamo – è senza senso e senza costrutto. A meno che un più alto senso del dovere verso il Paese e i concittadini, tante volte sentito predicare a parole, non ispiri a una parte significativa del Parlamento rinnovate scelte «di servizio», tali da garantire all’Italia, se non un’impossibile pace, almeno l’indispensabile prolungamento di quella tregua operosa di cui ha enorme bisogno. Ma ci vorrebbe qualcosa di convincente, non una maggioranza raccogliticcia e prigioniera della propria fragilità.