Dietro l’ossessione tedesca per il rigore nei conti pubblici, ribadita anche ieri da Berlino, si cela notoriamente anche il trauma dell’iperinflazione a cavallo degli anni Trenta, correttamente ritenuta una delle concause della deriva radicale del quadro politico, sfociata nell’elezione di Adolf Hitler alla Cancelleria del Reich. La "più ingiusta di tutte le tasse", l’inflazione appunto, contribuì a svuotare di senso la democrazia, spingendo gli elettori a creder che solo un "uomo forte" avrebbe potuto rintuzzare la forza e la violenza della speculazione finanziaria transnazionale e ripristinare la sovranità della Nazione e del Popolo tedeschi.Il paradosso è che, 80 anni dopo, proprio l’ansia da inflazione e da rigore economico e le scelte che determinano da parte del governo tedesco rischiano di produrre - per ora fuori dalla Germania - una nuova pericolosa radicalizzazione politica a livello continentale. Il caso greco è evidentemente il più eclatante. A quanto è stato già osservato da molti commentatori, aggiungo solo che, una volta che la democrazia è stata sospesa e "commissariata" dall’esterno, è difficile stupirsi se gli elettori chiamati alle urne le disertano in massa o premiano i partiti più radicali, nazionalisti e xenofobi. Ma a ben guardare anche altrove sta crescendo il consenso verso chi contesta le imposizioni economiche che Bruxelles richiede e Berlino pretende.In Francia, l’insofferenza per una democrazia e una sovranità nazionali che si temono minacciate ha trovato sfogo parziale nell’elezione di François Hollande. Un politico che non è certo un radicale anti-sistema e che ha dato voce alla volontà di ridiscutere le modalità e le priorità della risposta europea alla crisi, e ha vinto sia per la capacità disciplinante del sistema elettorale transalpino sia per la faticosa tenuta della convenzione repubblicana anti-lepenista. Così la radicalizzazione del quadro politico è stata per ora contenuta. Da qui alle legislative, il presidente Hollande avrà un mese per cercare di quadrare il cerchio: convincere i francesi di poter incarnare un baluardo contro la liquidazione della sovranità nazionale trascinando l’Europa a ritrovare un equilibrio tra democrazia e mercato e spingere Angela Merkel a più miti consigli. Operazione quest’ultima non facile, perché implica che la Cancelliera inizi a ragionare da leader europeo e non solo tedesco e perché, soprattutto, sottintende la ridefinizione dell’asse franco-tedesco, di fatto congelato al 1989. In realtà, si tratta di ripensare che cosa Francia e Germania vogliono e possono essere anche nella relazione reciproca per l’Europa di oggi e domani e non per quella di ieri o di ieri l’altro. Se fallirà, il rischio che anche a Parigi il radicalismo guadagni consenso è tutt’altro che remoto.Neppure l’Italia sfugge a una simile prospettiva. Anche se, occorre dirlo, nessun Paese presenta un quadro drammatico come la Grecia, perché in nessun altro Paese la sospensione della democrazia è stata così brutale. Nelle nostre elezioni comunali, la presenza di un governo tecnico ha funzionato da frangiflutti. Per quanto stia crescendo il numero di cittadini poco convinti che l’esecutivo riuscirà ad andare oltre l’incremento della pressione fiscale, il fatto che il governo non sia espressione diretta di una coalizione partitica ha prodotto una sorta di diversivo rispetto a chi ne contesta legittimità o efficacia. Questi elettori hanno magari potuto votare "contro" questo o quel partito della maggioranza (si veda la debacle del Pdl). Perciò l’esito elettorale non si è riflesso in maniera diretta in un giudizio sul governo. Ma la verità è che più tempo passa senza che si vedano gli effetti del piano "cresci Italia!", più il governo che ha salvato il Paese dal baratro greco rischia di venir associato al discredito di cui gode il sistema partitico.Oltre che dall’emergere di soggetti politici "radicali", ciò su cui occorre fermare l’attenzione è la radicalizzazione delle posizioni di partiti inseriti nel sistema. Il caso esemplare è quello della Lega.
La Lega di oggi sembra infatti aver scelto con decisione la via della radicalizzazione, considerando che è difficile immaginare qualcosa di più sovversivo dell’invito alla rivolta fiscale.I casi giudiziari che hanno sconvolto il circolo magico e la cerchia familiare di Umberto Bossi hanno impedito che i leghisti mietessero voti al Nord. Lo spazio per soggetti politici antisistema non è, insomma, interamente occupato dal Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo. Tuttavia è interessante notare che l’unico successo travolgente della Lega, la riconferma a Verona del sindaco Flavio Tosi, porta il segno non solo di un progressivo e brillante smarcamento dal gergo, dalle ritualità, dagli stereotipi leghisti e dalla fedeltà trinariciuta all’ex leader carismatico, ma anche di una capacità forte di coalizione che, oggi, coniuga identità, pragmatismo e rapporto diretto con gli amministrati.E veniamo ai cosiddetti "grillini". Il movimento fondato dall’attore genovese è cosa ben diversa dai neonazisti greci ovviamente. Oltretutto, definire Grillo l’espressione dell’antipolitica appare magari rassicurante, ma certo è poco utile. Più interessante è invece constatare che l’area per una contestazione frontale del sistema è a disposizione di diversi soggetti politici disposti sull’intero continuum destra/sinistra. Al di là della Lega post-bossiana (che è a un impegnativo bivio) e delle Cinque Stelle, anche partiti come l’Idv e Sel sono, e potrebbero ancor più, essere tentati di intercettare un voto che esprime l’esigenza di un cambiamento radicale e che appare in crescita. D’altronde, dei partiti che sostengono il governo, solo il Pd e l’Udc hanno tenuto la scena, ma l’uno perdendo voti e l’altra non beneficiando della crisi del Pdl, e in un quadro in cui l’astensione è salita da un quarto a un terzo dell’elettorato in cinque anni.Al massimo nel giro di 13 mesi si andrà a votare per eleggere il Parlamento. È fin troppo facile prevedere che se non verranno attuate (non promesse o impostate) politiche efficaci per la riduzione della disoccupazione e la ripresa della crescita, anche in Italia la radicalizzazione del quadro politico figlia del "furioso rigore tedesco" si farà prepotente. E allora potrebbe essere troppo tardi per correre ai ripari.