In effetti, quello che viene richiesto dal Papa è di raggiungere le periferie, le «frontiere», tutto ciò che è distante, non solo geograficamente, ma anche a livello esistenziale. Ecco che allora si manifestano le implicazioni dell’evangelizzazione, in tutta la sua finitezza e ampiezza, nel suo progetto quotidiano e assoluto. Questa spiritualità "ad gentes" non tollera deleghe e impone un decentramento in relazione ai tradizionali obiettivi di una società planetaria inerte di fronte al proprio destino. Naturalmente, l’andare esige un movimento, nello spazio e nel tempo, che non può però prescindere, nel magistero di papa Bergoglio, dall’opzione preferenziale a fianco degli ultimi, di coloro che sono relegati nei bassifondi della società e della storia. Essere credenti, infatti, significa assunzione delle proprie responsabilità rispetto alla conversione del cuore, al bene condiviso, alla pace, alla giustizia, alla riconciliazione, al rispetto del creato.
Si capisce, allora perché, come ha scritto Papa Francesco, «donare missionari e missionarie non è mai una perdita, ma un guadagno». Parole sagge ed estremamente eloquenti che provocano fortemente coloro che hanno una visione ristretta, privatistica, algida e ingessata della fede. Inviare missionari, d’altronde, poco importa se "fidei donum", religiosi o laici, è un investimento per tutti coloro che credono in un mondo migliore, ispirato dal Vangelo. Ne consegue una circolarità dell’evangelizzazione che genera lo scambio e rafforza idealmente l’universalità. Pertanto, Francesco ha esortato nella sua missiva «i missionari e le missionarie (…) a portare la loro gioia e la loro esperienza alle Chiese da cui provengono». Questo, in sostanza, significa che l’evangelizzazione non consiste solo nel "dare", ma anche nel "ricevere", esprimendo uno scambio di esperienze e dunque di vita, che arricchisce le singole comunità cristiane.
L’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires alla Sede di Roma, in fondo, è espressione di una restituzione della fede dalla «fine del mondo», per ridare impulso laddove il progresso non è sempre coinciso con le istanze umane e spirituali. Ecco che allora la missione non può essere percepita come una realtà a sé stante, rispetto alle attività pastorali delle Chiese particolari, ma piuttosto come un elemento imprescindibile per dirsi davvero cristiani. Se la dimensione religiosa viene spesso percepita nella nostra società globalizzata come un qualcosa di accessorio è perché non abbiamo compreso che la missione non può rimanere confinata nelle sacrestie, ma abbraccia il mondo intero.
La presenza di tanti nostri connazionali che hanno fatto la scelta di vivere nel mondo il messaggio evangelico, ci spinge, a volare alto come aquile, evitando di schiamazzare nel pollaio. Ma questo sarà possibile nella misura in cui sapremo esporci ai lontani, per conoscersi, farsi conoscere e realizzare una relazione di «vita buona» da cui far scaturire la bellezza dell’essere cristiani.