Nella grotta ci sono cinque personaggi. Cinque come i libri della Torah attorno a un nuovo rotolo, una nuova legge: la Parola fatta carne. Tutti sono come colti da una rivelazione. Il pastore che ci sta di fronte ha tra le mani un flauto e si scosta la visiera come sorpreso da una luce altra e da un calore nuovo. Là fuori ha lasciato i suoi sogni, le sue speranze, l’attesa di un futuro immaginato. Ora, con quel gesto sembra allontanare tutto: c’è un Presente qui che azzera ogni desiderio, ogni attesa. Questo pastore, proprio perché nascosto, dà profondità alla scena, la luce gli bagna appena il volto rivelando la gioia profonda che, ormai, lo abita. Vediamo in lui tutti i sognatori della storia, quelli che confidano nel loro flauto, nella loro capacità di immaginare un mondo nuovo e di comunicarlo. Ci sono necessari, eppure qui sono richiamati, come questo pastore, a una concretezza unica: il sogno è un bambino, una promessa di vita. Un futuro che ci veda spettatori (perché il centro è il bimbo) e protagonisti insieme.L’altro pastore invece è diverso: serio, pensoso, regge il bastone con vigore e s’indovina ancora l’energia con la quale guida il gregge. L’ha lasciato là fuori e s’è portato appresso solo l’ultimo nato, e vive un conflitto tra le preoccupazioni del gregge, sperduto sopra i monti, e la luce di questo Bambino. Quanti volti così nella notte di Natale? Gente più avvezza al lavoro, che alle cose di Dio. Eppure in questo giovane uomo s’individua un passaggio, un cambiamento: cosa sarebbe la sua guida, la sua perspicacia senza il Pastore d’Israele, quello vero, quello che gli sta davanti inerme, ancora infante ma già carico di un’autorità che fa zittire?
La levatrice è straordinaria. Ha quell’aria indispettita di chi avrebbe dovuto essere la prima: la prima a sapere, la prima ad arrivare, la prima a conoscere, la protagonista. E invece è arrivata alla grotta e questa ragazzetta da nulla aveva già partorito, da sola. Così non sa cosa guardare, se la sua ciotola d’acqua calda inutilizzata o la compostezza grave di quella Madre e di quel Bambino. Il suo abito ci racconta molto di lei. Nulla è lasciato al caso, non è una am ha arez, una del popolo della terra ma, potremmo dire, "veste firmato", è una donna battagliera. È davvero la domina della sua casa. Ora tutta la sua sicurezza s’infrange di fronte allo stupore di un fatto inusitato: un bambino nato senza sangue, né doglie, né lacrime. Tutto ciò è incomprensibile. Si scorgono, in questa donna, i cercatori di verità, quelli che forse non credono in Dio, mentre credono molto in loro stessi, eppure di fronte al soprannaturale si lasciano provocare, com-muovere.
L’altra donna del gruppo è la Madonna. Così solitaria e ieratica, tanto diversa dalle Madonne adoranti che siamo abituati a conoscere. Non capiamo neppure bene dove stia guardando, sembra vedere lontano, più lontano dei presenti, più lontano di noi. Vede già il sangue dell’Agnello sparso per i nostri peccati. Forse per questo il suo abito è rosso, quasi fosse già carica di quel sangue. Somiglia a un’altra Madonna di La Tour, anche lei vestita di rosso. Una Madonna più dolce, fanciulla e principessa insieme, che ci porge il Figlio con mestizia. Pure in quest’altra tela si fa strada, nel buio, una levatrice con la sua candela. Anche qui non vediamo nulla se non il Nuovo Nato, che è il titolo del dipinto. Ma chi è Costui? È proprio all’abito della Vergine che George de La Tour affida la sua risposta. Nell’Adorazione dei Pastori sull’abito della Madre si proiettano ombre. L’ombra delle mani della Vergine disegna ali come di colomba: è il segno dello Spirito di cui è ricolma. Qui è scritto il mistero del suo parto indolore. Un’altra ombra, più piccola, si trova all’altezza del ginocchio (simbolo di adorazione), la provoca l’agnellino che, avvicinandosi al divino Infante, si mette a brucare. Sì, è l’ombra di un germoglio. Ecco l’identità di Colui che adoriamo: il Germoglio giusto, atteso da Israele. Ora sappiamo qual è la rivelazione che riempie la grotta: tutti vedono, tutti sono entrati dietro a una fiaccola. Ma la luce vera non è questa. Giuseppe si fa schermo con la mano perché quella fiaccola non colpisca il nostro sguardo: la luce del dipinto viene da lui, da questo Germoglio di novità e di vita. Attorno al bimbo ruotano i volti e i simboli del dipinto. E proprio come nella tela de Il Nuovo Nato, Cristo è bambino, eppure già dormiente nel sonno della morte; è neonato, eppure già avvolto nelle bende e in un sudario, umile promessa di risurrezione.
L’oscurità cui ci costringe de La Tour somiglia molto al panorama di questo Natale. Non possiamo dimenticare il mondo in fiamme, il veto davanti a molti presepi, lo scempio impetrato contro inermi neonati eppure la Tour ci ricorda che una siffatta oscurità non è l’ultima parola sul mondo. Un Nuovo Nato ha chiamato a raccolta le genti dietro l’umile candela di Giuseppe, dietro la fiamma tremula della levatrice. Così siamo entrati anche noi attirati da questa fiamma per abbeverare il cuore di una nuova Speranza: ecco proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?