venerdì 12 luglio 2013
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I primi dati del Censimento delle istituzioni non profit presentati dall’Istat riportano un segno positivo per tutte le voci rispetto alla precedente rilevazione censuaria del 2001. Dal numero delle istituzioni non profit (+28 %), ai suoi volontari (+43%), agli addetti (+39%), ai lavoratori esterni (+169%) e ai lavoratori temporanei (+ 48%) viene certificata la crescita rilevante di un settore dell’economia sempre più importante per il rilancio del nostro sistema Paese. Il Terzo settore è infatti l’unico comparto tra quelli rilevati dal 9° Censimento Istat (imprese, istituzioni pubbliche e appunto istituzioni non profit) che presenta un segno positivo ovunque. L’exploit del non profit, che l’Istat considera a pieno titolo una realtà del sistema produttivo italiano, attesta il ruolo che l’economia sociale può ricoprire per una ripresa del Paese più attenta al 'benessere equo e sostenibile' delle persone. Fino a oggi, però, le forze politiche e di governo hanno gravemente sottostimato il valore sociale ed economico del Terzo Settore, considerandone l’apporto marginale, utile per settori periferici, ma irrilevante di fronte alle sfide che la crisi impone. Alcuni provvedimenti, per esempio l’aumento dell’Iva dal 4% al 10% per le cooperative sociali e l’estensione dell’Imu alle attività senza fini di lucro, stanno perfino minando la sopravvivenza di questa indispensabile realtà produttiva. Una miopia della politica che ha impedito al nostro Paese di approfittare del deciso investimento sull’economia sociale non profit da parte della Ue. Accade così che mentre in Italia ottusamente si rischia di affossare la cooperazione sociale, nel Parlamento europeo si delibera «sul contributo delle cooperative al superamento della crisi» (risoluzione del 2 luglio 2013), rilevando che le cooperative «si sono dimostrate in tempi di crisi più resistenti delle stesse imprese tradizionali, in termini sia di tasso di occupazione che di chiusura aziendale» ed evidenziando come «lo sviluppo di cooperative si è dimostrato più idoneo a rispondere alle nuove esigenze e a stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro rispetto ad altri modelli, grazie alla loro grande capacità di adattarsi ai cambiamenti e di conservare la propria continuità operativa». A fine febbraio 2013 era stata la Commissione europea a intervenire con esplicito invito a investire nel periodo 2014-2020 su innovazione sociale ed economia sociale, anche attraverso parte del Fondo sociale europeo (Fse), e con il contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr). Inoltre, grazie a un pacchetto di misure che costituiscono 'L’iniziativa per l’imprenditoria sociale', la Commissione europea già da un paio di anni ha intrapreso una politica articolata di investimento lungo tre direttrici, volta a potenziare l’accesso delle imprese sociali ai finanziamenti, a migliorare la visibilità e il contesto legale delle imprese sociali. Rientrano in questo pacchetto anche lo sviluppo di un quadro normativo europeo sui fondi europei per l’imprenditoria sociale (proposta della Commissione europea adottata nel marzo scorso dal Parlamento europeo). È lecito sperare che grazie ai nuovi dati Istat sul non profit la politica italiana non manchi, ancora una volta, di considerare l’energia nuova che l’economia sociale può dare per la ripresa e il rilancio del Paese.
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