sabato 21 giugno 2014
​roppo facile adesso prendersela con loro. Con la faccia di Cesare Prandelli regolarmente a strapiombo sul boh, paradigma tattico di chi ne prova parecchie non essendo a suo agio con nessuna. Dentro tutti, fuori tutti: proviamo con questo, cambiamo quest’altro. Senza un perché.
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Certo, se l’altra sera il pallonetto di Mario Balotelli al minuto 30 di una delle partite più deprimenti della storia del calcio italiano fosse finito in rete, magari adesso saremmo qui a raccontare un altro film. Magari. O anche no. Perché il calcio resta la più inesatta delle scienze inesatte. Ed è bello proprio per quello. Cambia destini per un filo d’erba, rovescia imperi per un palo. E fa rimangiare giudizi sempre troppo presto regalati al caso, dimenticando che gli avversari cambiano, le lune passano. E che anche se Pirlo si impegna, la palla gira sempre come vuole il vento. Troppo facile adesso prendersela con loro. Con la faccia di Cesare Prandelli regolarmente a strapiombo sul boh, paradigma tattico di chi ne prova parecchie non essendo a suo agio con nessuna. Dentro tutti, fuori tutti: proviamo con questo, cambiamo quest’altro. Senza un perché. La medietà, appunto, di chi non sceglie ma tira a caso. Soprattutto quando in campo non corre nessuno. Povero figlio, brava persona Prandelli. E i buoni non vincono mai quando il gioco si fa duro. Ma ha portato i migliori in Brasile, che gli vuoi dire? Altro non c’è a disposizione. Questa è l’Itaglia del pallone, sì, con la “g” che fa più grezzi e rende meglio l’idea di una nobiltà sparita. Questa squadra non rappresenta solo se stessa, ma tutto il calcio nostro. Un calcio che non vince una Coppa da anni fuori dai confini, e l’ultima l’ha sollevata l’Inter che di italiano allora aveva solo il presidente. Adesso nemmeno quello. Un calcio che la Champions la gioca solo all’inizio, perché dei preliminari noi siamo sempre i maestri. Ma poi sparisce, e la guarda in tv. Consolandosi con il suo campionato zeppo di stranieri, ma immaginando poi di andare in Brasile a vincere il Mondiale con 23 italiani disabituati ad un ruolo di protagonisti che non hanno più nemmeno a casa loro. Bella pretesa: folle, inumana, ingiusta. Accontentiamoci e festeggiamo allora quando si batte l’Inghilterra. E perdoniamo senza infierire se anche la Costa è diventata più Rica di noi. Troppo facile ironizzare sulla difesa azzurra che non difende, l’attacco che non attacca e il caldo che invece appiccica. Ma solo per noi, perché gli altri sembra che abbiano sempre un condizionatore incorporato nella maglietta. Non sudano, loro, traspirano. «Sono più abituati di noi a queste temperature tropicali...», abbiamo sentito dire. Infatti quelli di Costa Rica vivono e giocano da anni tutti all’estero, alcuni in Russia e in Danimarca, dove notoriamente fa caldissimo. Barzellette insomma. Troppo banali, alibi che non reggono. Come pensare che quando affrontano noi, tutti gli avversari sembrano Pelè. E ancora più grave sarebbe credere che lo siano davvero. Troppo da vigliacchi dire: ecco, l’avevo previsto, che l’Italia era piaciuta all’inizio, vero, ma mica ci si doveva fidare. E troppo triste pensare che l’affare vero, l’unico, l’ha fatto il Carrefour che da ieri rimborsa gli scontrini della spesa, ma solo a metà. E la ragione è che "il Marchisio", come ti dicono alla cassa, stavolta non ha fatto gol. Difficile da capire, ma è tutto vero. E può capitare solo in questo straordinario Paese.Questi siamo, parecchio e volentieri. Un popolo di inadeguati, con lo sconto da inseguire. In campo e fuori, sempre coinvolti in un gioco più grande di noi. Meglio se poi a vincere siamo tutti, e a perdere sono gli altri. Invece è adesso che bisogna stare sul carro. Che non va, non può andare, perché non ha le ruote. Ma a scendere sono bravi tutti. Restiamoci allora, facciamolo questo gesto di estremo coraggio: ora ci tocca l’Uruguay, e già il nome finisce male. Ma restiamo con gli azzurri. Fidiamoci un’altra volta, anche perchè non costa nulla. Anzi vale pure un rimborso al supermarket. Martedì pare che provino a giocare ancora. Magari si perde, anzi probabilmente. Ma loro sono noi: stessa faccia, stesse debolezze. E noi è tutto quello che ci resta.
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