Angela Merkel passerà probabilmente alla storia come la peggiore statista tedesca del secondo dopoguerra, e questo perché non riuscirebbe a superare l’esame di macroeconomia. Il coro di critiche alla politica che sta imponendo all’Unione Europea si fa ormai assordante. Ormai da decenni nei vari G8 e G20 si sottolinea l’importanza del coordinamento tra Paesi in surplus e Paesi in deficit di bilancia commerciale e partite correnti per assicurare una crescita equilibrata a livello mondiale. La signora cancelliere persegue invece pervicacemente la crescita degli squilibri con un surplus commerciale gigantesco che ha ormai raggiunto il 7% del suo Pil. Ed è per questo che si è meritata le critiche del Tesoro Usa, del Fondo monetario internazionale e di economisti come Paul Krugman che hanno sottolineato l’assurdo contabile della sua strategia che, stimolando tutti a seguire il suo esempio, propugna di fatto il modello un «mondo impossibile» fatto di soli Paesi creditori.La cancelliera tedesca dimostra di non aver appreso la lezione della storia. All’indomani della prima guerra mondiale le potenze vincitrici calcolarono in modo ragionieristico e persecutorio i debiti di guerra della Germania sconfitta dando il via alla spirale di frustrazione, umiliazione e crisi economica che avrebbe portato i tedeschi al nazismo. Dopo la seconda guerra mondiale, di fronte a responsabilità ben più gravi degli sconfitti, gli alleati occidentali non hanno ripetuto l’errore e hanno usato invece la misura del dono, con il piano Marshall, ottenendo come risultato una duratura "fratellanza" tra vinti e vincitori. La Germania sta ripetendo oggi con i Paesi del Sud Europa lo stesso errore delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale e, pountualmente, in Grecia è rispuntata o si è aggravata la malattia dell’estremismo: quello della destra nazionalista, con il partito di Alba Dorata, e quello delle correnti armate dell’anarchismo.Merkel non mostra, insomma, alcuna riconoscenza per il fatto che l’euro è stato per la Germania un affare incredibile: ha evitato l’apprezzamento del cambio del marco che avrebbe sfavorito l’export tedesco verso i Paesi dell’eurozona e ha creato un differenziale di tassi d’interesse che consente alle imprese tedesche di finanziarsi a costi molto più bassi di quelle dei Paesi membri del Sud. Nessuno ignora il fatto che i Paesi dell’Europa mediterranea hanno proprie responsabilità per quanto accaduto, per non aver sfruttato la fase iniziale di tassi bassi, e per non essere altrettanto virtuosi come sistema Paese e nella competitività dell’export rispetto al modello tedesco (così come nessuno negava le responsabilità delle potenze sconfitte alla fine della prima guerra mondiale). Ma la questione più grave oggi è quella dell’atteggiamento scarsamente lungimirante della Germania.La bocciatura in macroeconomia è meritata anche per l’incapacità del cancelliere tedesco di capire il nuovo contesto dei mercati globali. Dove nei Paesi ad alto reddito, sottoposti alla dura concorrenza sul costo del lavoro dei Paesi poveri ed emergenti, l’inflazione non esiste né può esistere. L’ha capito da tempo la Federal Reserve che risponde alla concorrenza globale pompando quella moneta in eccesso che serve a stimolare la domanda interna e a ricostituire le riserve di banche in difficoltà. Sapendo che, a fronte della pressione della domanda interna, l’offerta dei Paesi ad alto reddito non potrà in nessun modo alzare i prezzi se vorrà competere con i costi stracciati dei cinesi e degli altri emergenti. Non è un caso che l’inflazione nella Ue sia secondo gli ultimi dati attorno allo 0,7% e che nell’ultimo mese in Italia abbiamo registrato una riduzione dei prezzi dello 0,3%. Contro lo spettro della deflazione (quella riduzione dei prezzi che paralizzerebbe ulteriormente la produzione da noi e che aumenta il valore reale del debito pubblico) bisogna in realtà cercare di creare inflazione, obiettivo della Fed, per portarla almeno al livello ottimale del 2%, fisiologico per il funzionamento delle economie. I dati su crescita, disoccupazione e dinamiche della domanda interna negli Stati Uniti ed in Europa vanno ormai in due direzioni opposte testimoniando la sconfitta della politica tedesca.E così l’euro (che continua ad apprezzarsi su yen e dollaro per la gioia di americani e giapponesi) è sempre più un "supermarco" e l’Ue una grande Germania con alcuni Stati satelliti. E l’Europa del miope ragionierismo dei creditori produce il paradosso di rapporti debito/Pil che non possono che continuare a crescere per via della depressione della domanda privata e pubblica prodotta dalle politiche del rigore che contrae il Pil molto di più di quanto non riduca la spesa pubblica.Di fronte a una situazione così drammatica – come anche su queste colonne si scrive ormai da tempo – il nostro governo dovrebbe fare scelte coraggiose. Se la barca rischia di andare a sbattere o di arenarsi, il dovere di ogni membro responsabile dell’equipaggio non è soltanto quello di obbedire al comandante, ma di far presente che la strategia è sbagliata. Sarà su questo punto che si giocherà la responsabilità storica dell’attuale classe dirigente e il futuro stesso dell’euro.