«Se la misericordia del Vangelo è un eccesso di Dio, un inaudito straripamento, la prima cosa da fare è guardare dove il mondo di oggi, e ciascuna persona, ha più bisogno di un eccesso di amore così. Prima di tutto domandarci qual è il ricettacolo per una tale misericordia, qual è il terreno deserto e secco per un tale straripamento di acqua viva (...) Qual è la condizione di orfano, che necessita un tale prodigarsi in affetto e attenzioni; quale la distanza, per una sete così grande di abbraccio e di incontro…».I sacerdoti, nel Giubileo della Misericordia, a lezione di misericordia dal Papa, in tre straordinarie meditazioni, ieri, nelle Basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le Mura. Ma, se la misericordia è «eccesso di Dio», se è «inaudito straripamento», qual è il ricettacolo, il recipiente per tanta acqua viva, quale il deserto più assetato, il luogo della sete più grande? La risposta di Francesco è netta – tanto, sostiene, che potrebbe pronunciare solo questa, e andarsene, avendo detto l’essenziale: «Il ricettacolo della misericordia, è il nostro peccato».Il recipiente, il vaso che può accogliere da Dio la grazia che ricrea, è il peccato. In tempi in cui si crede di poter essere buoni e bravi solo con le proprie forze fa un certo effetto la perentorietà di Francesco: la peggiore miseria di un uomo, proprio quella è il luogo in cui la misericordia di Dio può ricreargli il cuore. Ma, aggiunge, chi non sperimenta la propria miseria si perde la misericordia, che agisce solo a condizione della percezione del proprio infinito bisogno: «O tutto o niente – dice il Papa – o si va a fondo, o non si capisce nulla». Radicalità e meraviglia di una meditazione che, fin qui, riguarda i cristiani oltre che i sacerdoti. Impossibile poi, in un articolo di giornale, tradurre la ricchezza delle parole del Papa (
che potete leggere più ampiamente nelle pagine interne e integralmente su
www.avvenire.it). Qui, solo se ne può dare qualche spunto: «Si intuiscono molte cose quando si prova misericordia. Si comprende, per esempio, che l’altro si trova in una situazione disperata, al limite; che gli succede qualcosa che supera i suoi peccati o le sue colpe; si comprende anche che l’altro è uno come me, che ci si potrebbe trovare al suo posto; e che il male è tanto grande e devastante che non si risolve solo per mezzo della giustizia… In fondo, ci si convince che c’è bisogno di una misericordia infinita come quella del cuore di Cristo, per rimediare a tanto male e tanta sofferenza». L’intelligenza della misericordia dunque, sorta di acutezza del cuore che, ferito dal dolore altrui, vede con più chiarezza. Non vorremmo forse tutti incontrare sacerdoti così, che comprendano oltre le parole, che leggano davvero il cuore? Non è prima di tutto questo, quello che cerchiamo in un prete? Ma, i preti sono uomini. Francesco: «E quando voi sacerdoti aveste momenti oscuri, brutti, quando non sapeste come arrangiarvi nel più intimo del vostro cuore, non dico solo “guardate la Madre”, quello dovete farlo, ma: “Andate là e lasciatevi guardare da Lei, in silenzio, anche addormentandovi”». Questo, aggiunge, farà sì che tanti sbagli diventino ricettacolo di misericordia: «Lasciatevi guardare dalla Madonna...».C’è una tenerezza di padre in queste parole ai sacerdoti. Francesco cita a esempio il Curato di campagna di Bernanos, che nei suoi ultimi giorni confessa: «Odiarsi è più facile di quanto non si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi. Però, se ogni orgoglio morisse in noi, la grazia delle grazie sarebbe solo amare sé stessi umilmente, come una qualsiasi delle membra sofferenti di Gesù Cristo».Parole di misericordia, per essere segno e strumento della misericordia di Dio. Consigli pratici, anche. Essere sempre disponibili, come quel sacerdote argentino che in confessionale, racconta papa Bergoglio strappando sorrisi, se ne stava a leggere un dizionario cinese e ad aggiustare il pallone di cuoio dei suoi ragazzi, così che la gente pensasse: questo prete non ha niente da fare, allora vado da lui. Ma il segno forte della grande lezione nelle Basiliche romane è quel far memoria sempre che il recipiente per la misericordia di Dio è il proprio peccato, nell’ora in cui ne sperimenta la miseria. Davanti alla quale, dice Francesco con affettuosa semplicità, occorre «non avere vergogna, non fare grandi discorsi, stare lì davanti alla Madonna e lasciarsi coprire, lasciarsi guardare. E piangere. Quando troviamo un prete che è capace di questo, di andare dalla Madre e piangere, con tanti peccati, io posso dire: è un buon prete, perché è un buon figlio. Sarà un buon padre».