Tutto come previsto, anzi peggio ancora. Se i dati provvisori del bilancio demografico 2014 anticipavano, con 509mila nascite, la "conquista" del record di denatalità nella storia della popolazione italiana, il resoconto definitivo presentato oggi dall’Istat "migliora" (si fa per dire) il risultato e ne segnala 6 mila in meno. Sono dunque 503mila i neonati del 2014 che, contrapposti ai 598mila decessi nello stesso arco di tempo, confermano il persistere di un saldo naturale negativo che segna, questo pure, un primato nella storia del Paese. Infatti, se si esclude il biennio 1917-1918 (per evidenti e tragici motivi di natura bellica), il dato del 2014, con 95mila morti in più rispetto ai nati, rappresenta uno sbilancio mai registrato in oltre 150 anni di Unità Nazionale. Ecco allora che il ruolo di garante della stabilità demografica nell’Italia di questo inizio del XXI secolo viene totalmente affidato alla componente di origine straniera, la cui immigrazione netta (entrate meno uscite) nel corso del 2014, pur riducendosi rispetto al passato, risulta ancora di circa 200mila unità.Ed è ancora alla presenza straniera – oggi più che mai "osservato speciale", con valutazioni non oggettive su presunte «invasioni» – che va dato atto di un contributo non marginale anche nell’attenuare la negatività del saldo naturale nel nostro Paese. Quest’ultimo, passerebbe infatti dalle -95mila unità indicate per il complesso dei residenti, alla punta di -165mila qualora ci si limitasse al bilancio dei soli cittadini italiani e non fosse in parte compensato dal +69mila relativo ai residenti stranieri. D’altra parte, la progressiva stabilizzazione e gli avanzamenti sul piano dell’integrazione familiare degli immigrati nella nostra società trovano concreto riscontro nei 75mila bambini stranieri nati in Italia nel 2014. Un dato che di per sé conferma la vitalità di tale popolazione – cui fa ormai capo il 15% delle nascite a livello nazionale – ma che, se confrontato con gli 80mila nati del 2013 e i 78mila del 2013 fa immediatamente capire come anche le famiglie immigrate siano pienamente coinvolte nelle difficoltà e nelle condizioni di disagio che determinano il calo della natalità in Italia e che spiegano i record negativi di cui si è detto. Ma la presenza straniera, che i dati anagrafici di fine 2014 indicano in poco più di 5 milioni – equivalenti agli abitanti di una grande regione come la Sicilia o il Veneto – non solo sostiene la numerosità della popolazione residente (ferma alla soglia dei 61 milioni), ma dà anche una mano a rallentare il calo numerico degli stessi «cittadini italiani». Le 130mila acquisizioni di cittadinanza registrate nel 2014 – per altro senza alcun cambiamento della precocemente invecchiata e giustamente criticata legge del 1992 – rappresentano un altro importante segnale di quel radicamento della componente immigrata che fa sempre più da supporto a una società demograficamente indebolita.La nostra è una società che oltre a dimostrarsi incapace di garantire il ricambio tra le generazioni – è dal 1977 che in Italia il numero medio di figli per donna è inferiore ai 2, soglia minima per mantenere il livello della popolazione – si permette altresì il lusso di "sprecare" risorse giovani, e spesso ben formate, inducendole a trasferirsi ad altri Paesi, talvolta persino concorrenti negli scenari dell’economia globale.Così, anche la perdita netta di circa 60mila cittadini italiani, che il bilancio anagrafico ben evidenzia nel corso del 2014, si aggiunge ai numerosi segnali che la demografia del nostro Paese ripetutamente indirizza all’opinione pubblica e alla classe politica. Invocare che qualcosa si muova è lecito e doveroso. Ed è legittimo sperare che almeno il bilancio demografico del 2015 non sia più così tristemente "da primato".