Ora che la squadra è al completo, aspettiamo di vedere il gioco di questo governo che molti italiani vivono come fosse la Nazionale di calcio. Da tifosi, ma pronti ad analizzare ogni schema, attenti a valutare le mosse dei singoli giocatori, perché l’amalgama produca un gioco equilibrato e vincente per tutti. A due settimane dalla nomina a presidente del Consiglio, infatti, Mario Monti ha definito il profilo del governo con la selezione dei viceministri e dei sottosegretari. Con scelte ancora una volta originali e qualche omissione da comprendere.Colpisce, ad esempio, la chiamata al ministero dell’Istruzione di Elena Ugolini e Marco Rossi Doria. Non solo due "tecnici", come la quasi totalità dei componenti questo esecutivo, ma due persone che vivono l’ambiente scolastico dall’interno. Attenti – l’una preside di un istituto paritario di Bologna, già nel comitato tecnico dell’Invalsi; l’altro "maestro di strada" a Napoli e impegnato nel contrasto alla dispersione scolastica – non alla burocrazia che sempre più spesso soffoca la scuola, ma al popolo di insegnanti e studenti che ne è il vero cuore. A ciò che fa – dovrebbe sempre fare – della scuola anzitutto un ambiente educativo, di crescita umana prima che professionale. Un segnale importante per un Paese come il nostro nel quale un milione di ragazzi non va oltre la terza media e due milioni e duecentomila giovani poi non lavorano, né studiano né sono in formazione.Colpisce, però, allo stesso tempo la non-scelta di almeno un sottosegretario alla Famiglia. E la decisione di non attribuire – almeno per il momento – neppure una delega specifica a uno dei membri dell’esecutivo. Eppure come non ricordare che la famiglia ha garantito finora – prima e meglio dello Stato – la coesione sociale del Paese. Ha assicurato, grazie alla capacità di risparmio e alle sue "economie di scala", la tenuta del bilancio nazionale. Ha funzionato da ammortizzatore sociale per i lavoratori senza cassa integrazione e per i giovani senza protezione. È stata capace di supplire anche alla mancanza di servizi di cura per i bambini e gli anziani, i cui costi, altrimenti, avrebbero gravato sui conti pubblici. Soprattutto, pur tra mille difficoltà e strappi, ancora trasmette quei valori antropologici fondamentali che in molta altra parte d’Europa risultano dispersi. La famiglia, dunque, rappresenta non una nicchia di interessi limitati, ma una risorsa da sussidiare, sulla quale investire perché sprigioni le sue potenzialità positive in termini di sviluppo economico e sociale per l’intero Paese. Certo, non è un ministero alla Famiglia a garantire di per sé l’impegno culturale, prima ancora che economico, in questa direzione. Non sarà una delega a "fare primavera", ma non vorremmo che quella calata l’altra sera fosse l’ennesima gelata dopo i molti inverni rigidi già vissuti dalle famiglie italiane.In verità, anche nel discorso con il quale il premier chiese il voto di fiducia alla Camera, il tema della famiglia era stato trascurato, con solo un breve accenno alla necessità di non meglio precisate politiche per «favorire la natalità». Ma ciò che conta, più di mille parole e proclami, restano i fatti. E allora in attesa della "grande riforma" del fisco – nella quale inserire finalmente almeno quella versione del quoziente che il Forum ha battezzato "fattore famiglia" – c’è un segnale forte che si può lanciare subito. Riconoscere il peso dei diversi carichi familiari nella nuova imposta sulla casa che si va profilando. Perché, ad esempio, 100 metri quadrati di abitazione possono forse essere considerati un bene di lusso per un singolo, ma sono poco più dello spazio vitale per una famiglia di 4, 5 o 6 persone. E – a parità di reddito – tassarli in maniera uguale rappresenterebbe una palese ingiustizia.Mario Monti ha oggi l’occasione per cambiare schema rispetto al passato, con una scelta semplice: quella di fare della famiglia l’ordito di base sul quale intrecciare la trama delle politiche del governo. Con il filo dell’equità il tessuto del Paese ne uscirà certamente rafforzato.
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