martedì 12 agosto 2014
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Secondo uno degli aforismi della discussa “teoria del caos” più citati, almeno a partire dal film cult Jurassic Park, il battito d’ali di una farfalla in un punto qualsiasi della terra sarebbe in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. Qualcosa del genere sembra stia accadendo nel caso della disputa agostana di casa nostra sulla fecondazione artificiale eterologa: di fronte a un’ovvia richiesta di riflettere su una questione complessa come poche, dalle ricadute prevedibili e imprevedibili sui singoli individui e sui rapporti sociali, si tenta di accreditare prossimi eventi catastrofici, causati niente meno che dalla pausa decisa per consentire approfondimenti sul piano legislativo. Eppure diversi casi, recenti o meno, della cronaca italiana e mondiale sono lì a dimostrare che predisporre una solida cornice a una prassi capace di innescare un inaccettabile mercato dei gameti (e magari, surrettiziamente, a onta dei divieti vigenti, anche degli uteri) non è come disciplinare il commercio delle canne da pesca. Basti solo pensare alla vicenda del gemellino down rifiutato dalla coppia australiana in Thailandia. Se poi teniamo presente il ginepraio – quello sì! – che si è creato qui da noi attorno al “caso Stamina”, alla sequela interminabile di denunce, ricorsi, sentenze, sequestri, commissioni insediate e revocate attorno all’ancora fantomatico metodo Vannoni, non si dovrebbe faticare a concludere che è meglio pensarci su ancora qualche settimana.Invece da venerdì scorso, da quando cioè il governo ha deciso di rinunciare allo strumento del decreto legge per adeguare le norme alla sentenza della Corte costituzionale sulla legge 40 e di dare la parola alle Camere, è scattata quasi una gara, per la verità essenzialmente mediatica, a far credere che stiamo correndo il rischio di entrare nell’ennesima paralizzante baraonda, capace di compromettere la serenità dell’intero Paese. Ora, non si può certo negare che l’Italia sia alle prese con numerose sorgenti di inquietudine collettiva. Già scorrendo i titoli e le pagine di questo stesso giornale, troviamo fin troppe ragioni di ansia e di agitazione: dalle minacce alla pace sempre più incombenti alle persecuzioni religiose, dall’economia all’immigrazione e alla cronaca nera nei suoi risvolti più tristi, abbiamo tutti di che preoccuparci per noi stessi e per una schiera consistente di nostri concittadini e fratelli in umanità. Con tutto il rispetto e la comprensione dovuti a chi vive il dramma di non poter avere figli propri, è però molto più difficile immaginare uno stato generale di «caos» e di tormento nella popolazione, solo perché ci vorrà forse un altro paio di mesi prima di consentire una pratica che resta comunque inaccettabile agli occhi di un’amplissima platea di italiani: si ricordi in proposito l’esito del referendum del 2005, durante il quale il divieto di eterologa era uno degli argomenti più agitati dagli abrogazionisti. Se un rischio di alimentare confusione e di combinare pasticci esiste, piuttosto, lo si deve al modo in cui, soggiacendo alle pressioni dei centri privati per la procreazione assistita e a evidenti sollecitazioni di natura ideologica, alcuni soggetti professionali e istituzionali sono scesi in campo con giudizi, annunci di iniziative in sede locale e perfino larvate minacce di conseguenze giudiziarie. La strada imboccata dal governo e ribadita di nuovo ieri dal ministro Beatrice Lorenzin, annunciando per settembre un tavolo di approfondimento giuridico sui nodi più urgenti, sembra dunque la più saggia e la più coerente anche con l’attuale “geografia delle competenze”, su una materia che coinvolge contemporaneamente il diritto, la salute e la bioetica. Colpisce e spiace che, a dare legittimità a polemiche inconsistenti, si sia indirettamente e quasi incredibilmente prestato anche il presidente della Consulta. Il quale, se vorrà accettare l’invito del ministro a partecipare al tavolo, avrà forse modo di convincersi che i “vuoti” da colmare, quando è in ballo la vita umana, non sono soltanto quelli normativi.
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