Giorno di silenzio e di smarrimento, il Venerdì Santo. Ed è come se il buio che ricopre la terra allo spirare del Signore invadesse anche la vita delle donne e degli uomini, e il grido di dolore e di fede del Dio che muore avesse un’eco nel cuore di ciascuno, risvegliando la consapevolezza delle nostre angosce e della nostra fatica di vivere.Nell’Uomo dei dolori che, chino sotto la croce, cammina verso la cima del monte Calvario, vi è tutta un’umanità dolente che, come lui, è ferita dalla vita, appesantita dal vivere quotidiano. Cammina anch’essa sotto il peso di una croce cui in molti casi non sa dare un nome, e tanto meno un senso. Qualche volta si chiede "perché", "perché proprio a me", più spesso si chiede dove troverà le forze per arrivare fino in cima; vorrebbe fermarsi un attimo a riprendere fiato; o anche solo restare a terra, dopo essere caduta. Ma sa che non ci si può fermare, che occorre andare avanti, fino alla vetta.
Questa umanità è sacramento dell’Uomo dei dolori e continua a rendere presente oggi il percorso che Lui ha compiuto verso il Golgota. È l’umanità che urla la propria rabbia, e quella che silenziosamente, con discrezione, tiene tutto dentro di sé, con la dignità composta di chi accetta che la sofferenza e la morte facciano parte della vita. Quando incontriamo questa umanità, sfigurata, umiliata, rifiutata, sappiamo che incontriamo Lui. Possiamo dire di aver contemplato con verità il Signore crocifisso se sappiamo riconoscere il Suo Volto nei volti che ci circondano: in quello dei giovani che non vedono un futuro per la loro vita, dei malati tentati di pensare che la loro esistenza non serve più a nulla, dei disoccupati alle prese con la preoccupazione del pane quotidiano, delle famiglie lacerate dai conflitti, delle persone che trascinano le loro giornate senza slancio, senza uno scopo, senza un ideale.
Forse ci viene da desiderare di essere come il Cireneo, che allevia per qualche passo la fatica del Cristo; o come quella donna che secondo la tradizione asciuga il volto sanguinante di Gesù. Gesti belli, che vogliono opporsi al dolore, a ricordarci che siamo fatti per la vita. Ma forse vi è un amore ancora più grande: quello della donne che stanno, silenziose presenze, ai piedi della Croce. Sembrano annientate dal dolore, eppure hanno la forza di una fedeltà che resta, e sfida la morte. Guardano da lontano, e lasciano che i loro occhi siano pieni dell’immagine del dolore del loro Signore; che il loro cuore sia abitato dallo strazio di questa Vita che muore.Oggi il Signore ci insegna soprattutto a sentirci parte di questa umanità sofferente, a non volerci chiamare fuori da questo popolo che cammina avendo come capofila un Dio che ha voluto condividere l’umanità in tutte le dimensioni più fragili, più umilianti, più scandalose. Anche chi non conosce o non riconosce Gesù è dentro questa folla; non ha la consolazione di sapere che davanti a tutti cammina Lui, ma l’Amore che salva avvolge tutti, nessuno escluso! Oggi sembra il trionfo della morte. Oggi è il trionfo dell’amore. Oggi è giorno di contemplazione del Signore e del Suo Volto piagato; è giorno di silenzio davanti al mistero dell’umanità che in Lui riconosce di essere fragile; è giorno di quella compassione e di quella pietà che rendono il cuore umile e mite. «Noi ti adoriamo, o Cristo. Con la tua croce hai ridato vita e speranza all’umanità». Questo silenzio adorante ci è dato perché possiamo riscoprire dentro di noi che la morte, anche quella del rinnegare ogni giorno se stessi, vissuta nell’amore, genera una vita nuova.Chi sta con il Signore, nel silenzio sbigottito di una morte che sembra una fine, come le donne può vedere la vita che risorge! La luce e la gioia della Pasqua scaturirà dalla nostra disponibilità ad attraversare insieme al Figlio ogni sofferenza e ogni limite; sarà generata dalla mitezza e dall’amore con cui avremo fatto posto dentro di noi anche al dolore della vita.