sabato 11 gennaio 2014
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La sentenza con la quale il Tar Piemonte ha annullato le elezioni regionali del 2010 nella Regione subalpina era attesa e scontata, anche se giunge dopo quattro anni di complesse battaglie legali e se con essa non è stata ancora detta l’ultima parola. La sentenza, infatti, è immediatamente esecutiva, ma può essere impugnata davanti al Consiglio di Stato (il presidente del Piemonte, Cota, ha annunciato che presenterà ricorso): spetterà dunque ai giudici di Palazzo Spada mettere la parola fine a un tormentone giudiziario nel quale sono sinora intervenuti i giudici amministrativi, civili e penali e la stessa Corte costituzionale (con la sentenza n. 304 del 2011). I fatti alla base della controversia sono di notevole gravità. Una delle liste di candidati al Consiglio regionale piemontese, collegate nel 2010 al candidato presidente di centrodestra, Roberto Cota, era stata presentata sulla base di firme false, con l’aggravante della falsità commessa da coloro che avevano autenticato le firme (e che per questo sono stati condannati in via definitiva dalla Corte di Cassazione nello scorso novembre). Non è ovviamente questa la sede per ragionare sui delicati problemi giuridici che hanno reso così complesso questo caso, anche perché, per ora, è noto solo il dispositivo della sentenza e non ancora le sue motivazioni. Si può però sottolineare sin d’ora la gravità degli effetti di questa pronuncia: il Consiglio regionale (un organo, si ricordi, con potere legislativo) e il presidente della Giunta di una grande regione italiana vedono annullata la loro elezione per irregolarità molto gravi (penalmente rilevanti) in sede di presentazione delle liste elettorali. Ne segue che per quasi quattro anni il Consiglio regionale piemontese ed il presidente regionale hanno esercitato i loro poteri sulla base di una elezione che ora risulta invalida. Non si tratta del primo caso: l’annullamento delle elezioni regionali era stato già disposto nel 2001 e nel 2012 in Molise e nel 2002 in Abruzzo, anche se in questa seconda regione la sentenza del Tar fu poi ribaltata dal Consiglio di Stato.
Le irregolarità nella presentazione delle liste elettorali non sono certo una rarità nella storia delle elezioni amministrative in Italia, ma fino agli anni Novanta ne derivava la validità dell’elezione dei soli consiglieri regionali appartenenti a tali liste, con conseguente correzione e non annullamento del risultato elettorale complessivo. L’effetto ben più radicale dell’annullamento dipende da due dati: da un lato dalla circostanza che i voti ottenuti dalle liste irregolari erano superiori allo scarto fra i voti ottenuti dal presidente della Giunta risultato vincitore e il candidato a tale carica risultato secondo (nel 2010 lo scarto fra Cota e la Bresso fu dello 0,43 per cento); e dall’altro dalla circostanza che dalla elezione del presidente dipende l’assetto complessivo del Consiglio, a causa del premio di maggioranza previsto dalla legge che disciplina le elezioni regionali. Questa eventualità (divenuta reale in ormai tre casi) dovrebbe indurre a riflettere sullo stato del diritto elettorale in Italia, che si trova in una situazione gravemente deficitaria. Oltre ai problemi relativi alla formula elettorale (il cui aspetto più evidente è l’incostituzionalità della legge elettorale nazionale, annunciata a dicembre dalla Corte costituzionale), vi sono problemi non meno gravi riguardo a quella che erroneamente si suole chiamare "legislazione di contorno": e ciò riguarda anche i procedimenti giurisdizionali per accertare le irregolarità in sede di elezione. Non solo non esiste un procedimento di controllo rapido, che verifichi prima delle elezioni l’eventuale esistenza di vizi del procedimento preparatorio (come la presentazione delle liste), ma i tempi per i relativi accertamenti si distendono per tempi quasi biblici (in questo caso 4 anni) proprio quando le irregolarità sono più gravi, in quanto consistono nel reato di falso ideologico e materiale. In generale tutto il diritto elettorale italiano - politico e amministrativo - è tuttora retto da regole vecchie, riguardo sia al procedimento che al controllo giurisdizionale: un ripensamento dunque si impone, al di là di questo grave caso piemontese, che pure ha evidenziato una grave mancanza anche dal punto di vista dell’etica pubblica.​
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