L’uccisione in Burundi di tre nostre connazionali, missionarie saveriane, dovrebbe ammaestrarci. Siamo davvero, ancora una volta, di fronte al mistero del dolore che attanaglia da sempre la condizione umana. Ma in questo caso la ragione s’arrende, non foss’altro perché a pagare con la vita sono state delle donne consacrate che hanno fatto del servizio agli ultimi della terra, della missione ad gentes, la loro causa di vita. Mentre scriviamo, le ragioni di questo efferato crimine non sono ancora chiare. E chissà se lo saranno mai, considerando la condizione di degrado in cui versa il Burundi, piccolo Paese africano, nel cuore della Regione dei Grandi Laghi. Le prime a morire sono state suor Lucia Pulici, 75 anni, e suor Olga Raschietti, 83 aggredite domenica pomeriggio nella loro comunità di Kamenge, un quartiere settentrionale di Bujumbura. Durante la notte, è stata la volta di suor Bernardetta Boggian, 79 anni. Da rilevare che proprio a Kamenge sorge da anni un centro pastorale giovanile che rappresenta una sorta di fiore all’occhiello della famiglia saveriana. Si tratta di uno di quei tasselli importanti, nel confuso puzzle burundese, che hanno consentito, attraverso la Provvidenza, di ricomporre, seppure a fatica, il processo di riconciliazione nazionale, dopo lunghissimi anni di guerra civile. Kamenge, infatti, è l’icona di una riconciliazione tra giovani hutu e tutsi che solo la forza del Vangelo poteva consentire, andando al di là del pregiudizio etnico. E allora viene spontaneo domandarsi:
cui prodest? A chi giova questo orribile misfatto?Tutti sappiamo che il male esiste e la sua realtà è quella di antitesi all’essere del bene. Eppure, pensare, che donne coraggiose e altruiste siano state spazzate via dal nostro tempo, in una remota periferia africana, per un gesto comunque folle e sanguinario è, umanamente parlando, non solo inconcepibile, ma inaccettabile. Anche perché in Burundi, vi sono ancora legioni di poveri che continuano ad invocare misericordia e, soprattutto, giustizia e hanno sempre visto nelle missionarie e nei missionari una pacifica forza d’interposizione nel nome del Dio vivente. Seppur fra strattoni e aggiustamenti determinati dalle vicende che hanno scosso il Burundi, le tre missionarie di cui sopra rappresentano, con il sacrificio della loro vita, la metafora del mistero pasquale, del trionfo del bene su ogni genere di barbarie, nella consapevolezza, come leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli «che c’è più gioia nel dare che nel ricevere». Questo modo di esistere è autorevole perché smaschera nei fatti la pochezza del relativismo. Ciascuno deve tornare a misurarsi con la millenaria cultura del cristianesimo in cui i gesti, quelli dei nostri missionari, precedono decisamente le parole. Considerando il tempo duro e aspro che stiamo attraversando in Italia e nel mondo – con dilemmi che non riguardano soltanto i grandi snodi della crisi dell’economia finanziarizzata, ma anche e soprattutto i nodi cruciali della questione antropologica – non possiamo stare alla finestra a guardare. Ha fatto, dunque, piacere leggere le parole del presidente Napolitano e dei vertici governativi, formulate a nome di tutta l’Italia. Porgendo le più sentite condoglianze alla famiglia saveriana, in particolare il ministro degli Esteri Mogherini ha ricordato che «ancora una volta assistiamo al sacrificio di chi, con dedizione totale, ha passato la propria vita ad alleviare le troppe sofferenze che ancora esistono nel continente africano». Questo, in sostanza, significa prendere atto che queste donne e questi uomini, veri "caschi blu di Dio", rappresentano il valore aggiunto non solo della nostra Chiesa, ma di un’Italia che ha voglia di vincere ogni forma di recessione.Dovrà, allora, farsi strada, da subito, la richiesta di una civiltà davvero aperta al bene comune dei popoli, contro l’odierna, scriteriata, egoistica esclusione sociale e ricerca del profitto a ogni costo. Una cosa è certa: grazie al sacrificio delle nostre tre sorelle saveriane possiamo comprendere cosa significhi amare incondizionatamente.