Siamo stati, siamo e saremo al vostro fianco, caro don Maurizio. Con civile e cristiano sguardo di cronisti, cioè con il lavoro di informazione in cui crediamo e che cerchiamo di fare: onesto e partecipe, sereno e indagatore, rispettoso di fatti e dati, ma soprattutto e sempre delle persone. Per questo siamo stati, siamo e saremo ancora attenti a non strillare esagerazioni e, al tempo stesso, a lanciare ogni necessario allarme sulla “terra dei fuochi” e su ogni altro criminale avvelenamento dell’ambiente e della vita della nostra gente.Hai proprio ragione: questi due anni di iniziative e cronache serrate, di sofferenza e di speranza non sono passati invano: sono davvero forti, persino indelebili, i segni del coraggio e della santa impazienza di un popolo che per dolore e amore, alla scuola di don Peppino Diana, sostenuto dal suo vescovo e da tutte le Chiese locali della Campania, non intende più tacere, e subire.Ma hai anche ragione a dire chiaro e tondo che la reazione contraria e opposta che si sta manifestando è brutta e dura: schiumano, infatti, onde politico-mediatiche gonfie di cinismo e, più ancora, di smanie auto-assolutorie per i silenzi, le distrazioni, le pavidità e le connivenze accumulatisi per più di due decenni sulla pelle di un’intera generazione di “cittadini dimenticati” che vivono nella splendida e martoriata fascia di territorio tra Napoli e Caserta.La verità, però, è che voi non siete – e noi non siamo – più così soli come appena due anni fa nella quotidiana, disarmata battaglia per tenere gli occhi aperti, la coscienza viva, la schiena diritta. Anche se la strada è ancora lunga, più soli e meno tracotanti hanno cominciato a diventare i malfattori e gli intossicatori, camorristi o colletti bianchi che siano. È vero: non è un’illusione dire che quando i “buoni” sanno essere uniti “quelli lì” sono più soli e meno nascosti. Diventano vulnerabili anche loro, e fuori dal delirio del potere e del profitto cominciano – qualcuno lo ha già fatto – a misurarsi con la propria coscienza. E queste sono gran belle notizie. Di quelle che a noi di “Avvenire” piace dare, ascoltando la gente e raccontando la realtà. Non mi stanco di ripeterlo: siamo giornalisti a cui non importa di fare “titoli a effetto”, ci importa di contribuire a “fare effetto”, dare una mano a cambiare le cose e a liberare le persone, a scoprire e impedire l’ingiustizia, a difendere i più deboli, sostenere chi lavora per rendere il mondo un posto migliore.
Meno male, caro padre, che ci sono uomini e donne, vescovi e preti, medici e politici, funzionari e volontari che con la forza e la povera bellezza che tu ci testimoni sanno fare la cosa giusta. Ci danno le parole giuste per servire, in modo giusto, una giusta causa.