Il diritto all’identità personale è garantito dalla Costituzione italiana. Ma pure il diritto alla vita e quello alla salute sono oggetto di tutela costituzionale, e il nostro ordinamento giuridico tutela anche il diritto alla riservatezza. Come districarsi in questa selva di diritti, se si trovano a confliggere? È il dilemma in cui si sta dibattendo il Parlamento italiano.l diritto all’identità personale è garantito dalla Costituzione italiana. Ma pure il diritto alla vita e quello alla salute sono oggetto di tutela costituzionale, e il nostro ordinamento giuridico tutela anche il diritto alla riservatezza. Come districarsi in questa selva di diritti, se si trovano a confliggere? È il dilemma in cui si sta dibattendo il Parlamento italiano.
Le buone intenzioni della proposta di legge che arriva all’esame parlamentare sono totalmente condivisibili, ma si può rischiare, senza volerlo, di fare danni anche irreparabili. I problemi possono insorgere per l’automatica estensione della possibilità di conoscere le proprie origini se la madre biologica è deceduta e se, in assenza di revoca volontaria dell’anonimato, il figlio non riconosciuto alla nascita, può – come l’adottato – rivolgere comunque istanza al tribunale dei minorenni per conoscere l’identità dei genitori biologici. Nel contattare la madre il tribunale dovrà tener conto della sua età, dello stato di salute psico-fisica e delle condizioni ambientali, familiari e sociali, cercando di rispettarne la dignità: ma dovrà comunque farlo.
Dov’è il nodo che va sciolto? Andrebbero probabilmente considerati anche altri princìpi, costituzionalmente tutelati, come il diritto alla salute – con riferimento alle condizioni in cui si verifica il parto – e soprattutto il diritto alla vita del nascituro, senza dimenticare il diritto alla riservatezza per la madre. Sicuri che il modo migliore per contemperare tutte queste esigenze sia quello di vedersi arrivare alla porta, a distanza di 25 anni, un’assistente sociale? Per una madre che eroicamente ha deciso di portare a termine una gravidanza, mentre tutto intorno a lei la spingeva alla scelta dell’aborto, e che dopo aver partorito ha sofferto distaccandosi da suo figlio, non è certo il modo migliore per riaprire una ferita, forse solo a fatica rimarginata. E cosa accadrà alle madri di oggi in difficoltà? Siamo certi che a loro la riservatezza potrà essere totalmente garantita? Non c’è il rischio che aborto e infanticidio finiscano per essere involontariamente promossi? Un’alternativa ci sarebbe: creare una sorta di "lista d’attesa" senza scadenza, in cui potrebbero iscriversi da un lato chi desidera conoscere le proprie origini e dall’altro le madri che hanno scelto di uscire dall’anonimato, permettendo alle due richieste di incontrarsi, ma solo quando arrivano a coincidere. La lista andrebbe gestita dalla magistratura e andrebbe promossa da campagne informative dirette alle donne. In questo modo il diritto alla riservatezza sarebbe garantito e la scelta dell’anonimato potrebbe continuare a essere effettuata in tutta tranquillità, mentre ai figli non sarebbe comunque negata la possibilità di conoscere le loro origini.
A questo punto può sorgere una domanda: non c’è contraddizione tra le preoccupazioni per un automatismo nell’accertamento della disponibilità della madre a rinunciare all’anonimato e l’affermazione che esiste un diritto a conoscere le proprie origini quando il concepimento è avvenuto con la procreazione eterologa? Ferme restando le riserve sulla reale possibilità di una "donazione" gratuita di gameti femminili, la diversità delle due situazioni è però evidente. L’eterologa non è un istituto per proteggere un bambino abbandonato o privo di genitori. Al contrario, mira a soddisfare il desiderio degli adulti di avere un figlio con una genitorialità scissa in partenza. Mancano, dunque, nell’eterologa sia quelle circostanze che invitano a cautela nel riaprire capitoli di dolorose separazioni, sia quei probabili e gravissimi rischi per la vita del bambino e la salute della sua mamma che la legge sul parto in anonimato ha inteso scongiurare. Il diritto del nuovo nato a conoscere la propria genealogia non avrebbe, dunque, motivo di essere sacrificato per ragioni di mero ordine utilitaristico. Gli aspiranti "donatori", infatti, non sono obbligati a fornire i gameti e possono rinunciare alla "donazione", se non vogliono in alcun modo poter essere rintracciati un giorno dai figli che hanno concorso a concepire.
presidente nazionale Movimento per la vita