In migliaia accampati a Lesbo, o schiere di uomini e bambini in marcia lungo i Balcani. Sono sempre folle, nelle immagini dei tg, i profughi: grappoli di naufraghi su barconi alla deriva, povere tendopoli sterminate nella polvere di Idomeni, cinte minacciosamente dal filo spinato. Sono quasi sempre massa, moltitudine, i profughi, nella traduzione mediatica; e le moltitudini suscitano angoscia di invasioni, le moltitudini spaventano. Ma «i profughi non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie», è il messaggio che il Papa ha lanciato su Twitter nel partire per Lesbo, poche parole che hanno fatto il giro del mondo. E sembra che Francesco sia andato nell’isola dell’Egeo proprio per dare consistenza a queste poche parole. Per dare carne, faccia e occhi a ognuno, nella folla di poveri fuggiaschi che preme alle porte dell’Europa. Non si sente forse dire, nei nostri bar e non solo, davanti a una tv accesa: "Eccone altre migliaia, vengono tutti qua, rimandiamoli a casa"? Si sente dire e si vede fare, nella pretesa di innalzare muri, dall’Ungheria al Brennero. E parlare in questo modo di fronte a masse di uomini, forse viene facile. Difficile però è continuare a farlo, quando quegli uomini e bambini li guardi, ognuno, negli occhi. È ciò che Francesco ha compiuto ieri, è qui che ci ha accompagnato. Davanti ai volti dei giovanissimi siriani che hanno perduto la famiglia, e sono arrivati soli a Lesbo. Li avete visti, seri in viso, adolescenti eppure già forti, divisi fra lo smarrimento e la fierezza di avercela fatta da soli? Che domanda di vita nei loro occhi, che speranza, pure nell’ansia dell’immediato destino. E quei bambini così piccoli che il Papa si è dovuto chinare per accarezzarli? E quelli che, nell’attesa, giocavano tra le fila dei profughi, incapaci di stare fermi, vivi come passeri?I primi piani delle telecamere che seguivano il Papa ci hanno mostrato non la folla, ma i lineamenti di quei bambini, gli occhi grandi e gravi o, nei più piccoli, come stupefatti: della fame e della sete, delle notti al freddo, del mare, immenso e sconosciuto, attorno, appena oltre le braccia materne.Abbiamo visto il cadere in ginocchio di un uomo che fra le lacrime riusciva a ripetere, soltanto: «
Father, bless me, bless me», «Padre, mi benedica», come stremato dal troppo male visto e attraversato. E la ragazzina implorante davanti al Papa, che lui ha aiutato a rialzarsi. E le madri, poi. La tenace ostinazione di certe madri, come quella che spiegava a Francesco di essere rimasta sola con i suoi bambini, o un’altra che gli indicava una figlia ragazzina e gli diceva: «Ha un cancro, deve essere curata, aiutaci». (L’insistenza delle madri ci ha fatto venire in mente l’ ostinazione di certe donne del Vangelo, decise a tutto, purché Cristo desse loro retta. Come la madre cui tutti dicevano: «Tua figlia è morta, non disturbare più il Maestro». Ma quella niente, non sentiva ragioni). E i vecchi, lo smarrimento dei vecchi che hanno perso tutto, patria, casa, affetti, e si ritrovano smarriti, balbettanti, in una prigione?Le facce del campo di Mòria restano negli occhi di chi le ha guardate insieme al Papa. Dodici di quei volti, Francesco li ha portati a Roma con sé. Come a dirci: guardate, non sono numeri, sono uomini, sono bambini da abbracciare. E chissà, ti domandi, nei bar di tutta Europa, davanti a quelle facce in tv, guardando quei poveretti in ginocchio, se qualcosa nelle reazioni, nelle parole non è almeno impercettibilmente cambiato. Gli invasori, i nuovi Unni contro cui far barricate? Quando la moltitudine si scioglie in volti, si svelano adolescenti come i nostri figli, o bambini come i nipoti che vorremmo – e che spesso non abbiamo. «Non sono numeri, sono persone: sono volti, nomi, storie», è il messaggio, straordinariamente forte, che il Papa ha lanciato in un’Europa, come ha detto ieri l’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos, «in bancarotta di umanità». In un’Europa che dimentica dichiarazioni universali e convenzioni, e pensa a proteggersi, gretta – e ciascuno per sé. Ha pronunciato, a Lesbo, Francesco, non molte parole. Perché a volte le parole non bastano. A noi uomini, per capire, occorre vedere, occorre toccare, mettere il dito nella carne, come Tommaso. In questa Europa ingrigita, e smemorata nei suoi conti e nelle sue piccole strategie, occorreva il gesto di un cristiano: che, dal cuore del dolore, semplicemente ci ha mostrato dei volti. Confidando che gli uomini della stanca Europa custodiscano tuttavia in sé un’umanità. E che sia possibile il miracolo di tornare a vedere, negli "invasori", degli occhi: che ci guardano. E somigliano a quelli dei nostri figli, o delle madri che abbiamo perduto.