martedì 24 maggio 2016
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«È come se ad un tratto fosse venuta meno in tutti la fede nelle convenzioni, nei trattati, nella forza dei diritti, ed ognuno avesse sentito il bisogno di tapparsi in casa rinserrandovisi con il catenaccio e barricandosi ad ogni apertura». Queste parole, rivolte all’Europa e agli europei, potrebbero benissimo essere state pronunciate negli ultimi mesi, alla luce delle nuove barriere di confine, innalzate da diversi Stati membri della Ue in risposta all’emergenza immigrazione. Vale la pena di meditare su di esse all’indomani della sconfitta al fotofinish dell’ultranazionalista austriaco Norbert Hofer nel duello con il candidato verde ed europeista, il neopresidente eletto Alexander Van der Bellen, e in vista dei futuri appuntamenti comunitari, dai quali si spera possa anche prendere corpo e sostanza politica e umana il progetto di Migration Compact avanzato dall’Italia. Vale la pena di rifletterci su soprattutto perché furono scritte, nel lontanissimo 1913, da un trentaduenne deputato al Parlamento imperiale di Vienna. Il suo nome era Alcide De Gasperi. Il futuro statista italiano e padre fondatore dell’attuale Unione Europea, di fronte ai venti di guerra che soffiavano sul Continente, pubblicò un articolo sulla rivista "Il Trentino", da lui diretta già da diversi anni, per denunciare i guasti e i rischi dei nazionalismi all’epoca in forte ascesa, mentre le vie diplomatiche figlie del cosiddetto "concerto europeo" mostravano sempre più la corda. E osservando il prevalere, nei vertici di governo e nelle opinioni pubbliche di tanti Paesi, della retorica basata sulla forza e su una malintesa identità nazionale, De Gasperi constatava amaramente quanto «appaiono vuote ora le parole d’ordine "solidarietà umana" e "fratellanza universale", predicateci in tutte le rivoluzioni politiche». Di lì a non molti mesi, il colpo di pistola del serbo-bosniaco Gavrilo Princip, esploso il 28 giugno 1914 contro l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo a Sarajevo, avrebbe aperto il "secolo breve" delle stragi planetarie. E si sarebbe mostrata in tutta la sua carica profetica un’altra impressionante esclamazione contenuta in quello scritto degasperiano: «Come è nuda, come si rivela in tutto il suo crudo verismo codesta Europa moderna, proclamatasi tante volte nei congressi e nelle esposizioni internazionali madre disinteressata dei progressi umani!». A distanza di oltre un secolo, non sono per fortuna all’orizzonte antiche rivendicazioni territoriali né tanto meno minacce di reciproche aggressioni fra i 28 Stati dell’Unione. Le miniere dell’Alsazia non vengono più evocate come pretesto per predisporre operazioni belliche o sventolare le bandiere di un’effimera revanche. Anche il voto per le presidenziali dei nostri vicini austriaci lancia, sia pure dopo una inquietante suspense, un segnale di scampato pericolo dal diffondersi dell’epidemia xenofoba fino ai vertici istituzionali di un Paese con ben altre tradizioni. Eppure certe esagitate reazioni al problema di rifugiati e migranti che bussano ai nostri confini, alcuni slogan ferrigni buttati nell’agone politico magari solo per lucrare lembi di consenso elettorale, non vanno sottovalutati. Lo stesso vale per tanti eccessi polemici anti-comunitari, o anche solo anti-euro, innescati forse da comprensibili frustrazioni per l’insensibilità delle burocrazie di Bruxelles o di Francoforte, ma poi giocati in modo spregiudicato per riattizzare rabbie ataviche o pregiudizi duri a morire. Il demone nazionalista, specie a fronte di un fenomeno di dimensione epocale come le migrazioni, può sempre ridestarsi e ricominciare a spargere i suoi veleni tra popolazioni alle prese con una crisi economica di durata indefinita. Di qui la lezione della storia, che lo stesso De Gasperi tenne accuratamente presente negli anni della ricostruzione italiana e della contemporanea intrapresa europeista. La prima coronata da successo pieno, la seconda solo parzialmente, proprio perché confinata troppo a lungo nella cerchia degli interessi, che quando vengono messi in seria discussione fanno presto a rivelare la fragilità degli ideali e dei princìpi solidaristici solo proclamati e non messi davvero in pratica. Ecco perché il grande statista trentino gioirebbe oggi alle notizie infine giunte da Vienna. E avrebbe gioito ugualmente un paio di settimane fa, a sentire papa Francesco rivolgersi alla «madre Europa», esortandola con forza straordinaria a ridestarsi, a smetterla di «costruire recinti particolari», per ridare nerbo a quell’umanesimo di cui è stata 'culla e sorgente'. Parole che il Papa ha pronunciato nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, ricevendo lo stesso premio Carlo Magno che anche a De Gasperi fu conferito il 24 settembre 1952. Si era allora ad Aquisgrana, da dove il presidente del Consiglio italiano, a pochi anni dalla fine dell’ancor più devastante secondo conflitto mondiale, ammonì a non tradire la speranza di un mondo nuovo, gettando e coltivando senza sosta «il seme della fraternità e della tolleranza».
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