mercoledì 21 marzo 2012
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L’intesa con tutte le parti so­ciali non c’è. Non ancora per­lomeno. Ma non c’è neppure la rot­tura clamorosa. Anzi, si registrano passi avanti: la Cisl ha già espresso un giudizio positivo, la Uil chiede qualche correzione per dire sì. Pic­cole e grandi imprese danno via li­bera. La Cgil no, non ci sta: non ac­cetta alcuna riforma dei licenzia­menti. Nessuno però forza la ma­no: ci sono altre 48 ore. Poi si chiu­derà comunque.La scelta annunciata dal presiden­te del Consiglio di stilare un verba­le conclusivo alla fine del prossimo incontro con le parti sociali – evi­denziando i punti sui quali sinda­cati e imprese sono d’accordo e quelli invece sui quali si registra un dissenso – può rivelarsi intelligen­te e funzionale. Soprattutto chia­ma tutti i soggetti ad assumersi in maniera trasparente le proprie re­sponsabilità. Niente giochi tattici né "prendere o lasciare". Niente supplenze improprie. Le parti so­ciali si confrontano, evidenziano li­miti e opportunità, mediano. Ed e­sprimono il loro giudizio senza però avere il potere di porre veti pa­ralizzanti. La politica si riappropria pienamente della prerogativa di fa­re le leggi. E toccherà ai partiti al­lora dimostrare di saper esercitare quella rappresentanza generale che il nostro sistema politico assegna loro. Evitando scontri ideologici e tensioni sociali esiziali per il Paese.Nel merito, la riforma andrà ana­lizzata quando i testi su ammortiz­zatori sociali e forme contrattuali saranno definitivi. Ma la nuova i­potesi che prevede il reintegro per tutti i lavoratori licenziati in ma­niera discriminatoria, anche di pic­cole imprese – prevedendo invece il solo indennizzo per i licenzia­menti "economici" e la scelta la­sciata al giudice nel caso di quelli disciplinari – potrebbe riassegnare all’articolo 18 la sua funzione ori­ginaria di tutela davvero generale, di civiltà. Evitando di farlo scadere nell’inamovibilità del lavoratore e in una concezione "proprietaria" del posto di lavoro.
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