venerdì 2 maggio 2014
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Caro direttore,
dopo l’articolo di “Avvenire” che ha sollevato il caso sulla stampa nazionale ho voluto leggerne altri pubblicati su vari quotidiani a proposito della denuncia sporta da due associazioni per il libro di Melania Mazzucco “Sei come sei” fatto leggere agli studenti ginnasiali del liceo Giulio Cesare di Roma. Confesso che mi ha colpito il tenore minimizzante e fuorviante della maggior parte degli articoli a proposito dei contenuti controversi (fecondazione eterologa, coppie omogenitoriali etc.) oltre che, in qualche passaggio, francamente osceni ivi proposti. Tranne un giornalista della “Stampa”, Tosatti, nessuno ha avuto il coraggio di riportare nella sua crudezza il brano particolarmente esplicito che descrive in termini compiaciuti il rapporto orale tra «il muscoloso ruvido stopper della squadra dell’oratorio» e «Giose». Capisco che è roba forte, ma a mio parere andrebbe rilanciato senza troppe reticenze per far capire ai buonisti e agli pseudo-miti fautori del «dialogo inclusivo» che livello di lettura è stato proposto agli studenti dei primi anni del liceo. È una questione non certo di pruderie o confessionale né tantomeno partitica (alla larga dalle tristi e misere manifestazioni di intolleranza dispiegate da certi estremisti), ma di rispetto delle elementari conoscenze delle fasi evolutive e di maturazione psico affettiva degli studenti stessi che si deve reagire con pacata fermezza a quel tipo di proposte. Forse anche i genitori più “progressisti” di adolescenti liceali, dopo la effettiva conoscenza di quanto è stato propinato, si farebbero due domande in più sull’opportunità di far leggere contenuti di quel tipo con la scusa della educazione alla diversità. Tra l’altro, oltre al rischio di una mera induzione a comportamenti imitativi di stampo omosessuale, in una età tipicamente omoaffettiva che nulla ha da spartire con l’orientamento omosessuale, quel tipo di lettura rischia di innescare vera sessuofobia piuttosto che omofobia: ragazzi potrebbero reagire davvero con schifo a certe descrizioni, confondendo i comportamenti con le persone e comunque non integrando armonicamente la gestione delle inevitabili pulsioni sessuali con la loro opportuna guida e interpretazione. Queste considerazioni, per quanto mi riguarda, vanno di pari passo con una chiara presa di distanza da manifestazioni politiche estremistiche, che risultano un boomerang facilmente utilizzabile da chi si trincera per difendersi dalla denuncia dietro al mantra del «razzismo fascista e omofobico». La natura prepartitica, preconfessionale, puramente antropologica del convincimento di una realtà dell’essere umano che è segnato dalla differenza sessuale, chiamato alla relazione e di cui la sessualità maschile e femminile in comunione stabile e fedele rappresenta la più luminosa immagine, oltre che la difesa della sacrosanta libertà educativa dei genitori sono la vera pars construens da salvaguardare e promuovere in questo momento di gendercrazia imperante.
Chiara Atzori, medico
 
Caro direttore,
sono insegnante, genitore di 8 figli, nonno di 3 nipoti. Voglio farle sapere che ho apprezzato molto l’editoriale di Luciano Moia sulla vicenda della cosiddetta “educazione sessuale” al Liceo “Giulio Cesare” di Roma. Piena condivisione. Di contro, mi ha lasciato davvero di stucco l’intervista rilasciata a “Repubblica” dal ministro Giannini, la quale approva apertamente l’iniziativa dei docenti del liceo romano, pur ammettendo candidamente di non aver letto il libro in questione. Come può un ministro dell’Istruzione in modo così leggero di fronte a una questione di delicatissima rilevanza educativa? Come si può formulare un giudizio senza la conoscenza dei fatti e delle parole? Pare più una difesa “a priori”, quindi ideologica. Eppure, mi verrebbe da chiedere al ministro se ai suoi figli – all’età di 14-15 anni – farebbe davvero leggere tranquillamente i particolari oggettivamente pornografici presenti nel testo utilizzato. E voglio ribadire che qui l’omofobia non c’entra proprio per nulla: poteva anche trattarsi di una scena tra eterosessuali, il problema è l’opportunità – da parte della Scuola – di proporre un testo simile a dei quindicenni. Sulla questione della sessualità oggi noi viviamo un problema drammatico, che ha già ora – ma avrà ancor più in futuro – ripercussioni antropologiche e sociali pesantissime: la scissione ormai completa tra sessualità e amore. Se il ministro dell’Istruzione non comprende questo fenomeno e le sue gravi implicazioni, se ritiene davvero che si possa educare a una sessualità matura attraverso racconti con concessioni alla pornografia, io credo che siamo davvero allo sbando totale. E ne sono molto preoccupato, per i nostri figli e i nostri nipoti.
 
Carlo Dionedi, insegnante
 
Egregio direttore,
chi scrive è un militante romano di Forza Nuova. Mi sorprende come, nell’articolo apparso on line su “Avvenire.it” in data 29 aprile sui fatti del liceo Giulio Cesare di Roma, abbiate additato come “omofobi” gli striscioni di protesta di Forza Nuova, che ha al secondo punto degli otto fondamentali che ne costituiscono la dottrina politica la tutela dell’unico modello di famiglia accettabile, quella naturale, e la promozione di politiche per la crescita demografica. Liquidare l’azione pacifica dei nostri ragazzi davanti al liceo Giulio Cesare come riconducibile a una logica di contrapposizione ideologica e di opposti estremismi è riduttivo e falso, degno di bassa propaganda da circolo Mario Mieli. Noi e i nostri militanti più giovani siamo andati lì per chiedere che nelle nostre scuole si adotti una pedagogia esaltatrice delle differenze fra maschio e femmina, nei rispettivi ruoli sociali e spirituali; chiediamo che le nostre scuole non diventino luoghi per coltivare una gioventù apolide, acefala e sessualmente confusa, a uso e consumo di un sistema consumistico. La nostra, ovviamente, non era un’aggressione omofoba (termine tra l’altro dall’incerta etimologia), ma un grido di appello alle coscienze, anche e soprattutto di quei cattolici che, talvolta, sembrano essere troppo assopiti e tolleranti verso quello che è, in tutta evidenza, un piano diabolico per estirpare definitivamente il rapporto col sacro dalla vita dei nostri giovani.
Francesco Santarelli
 
C’è una stessa domanda che si articola dalla lettera della dottoressa Atzori a quella del professor Dionedi, entrambe ricche di profonde riflessioni. La “traduco” così: è ancora possibile in questo Paese, nel mondo mediatico e persino al Ministero dell’Istruzione, affrontare un tema per ciò che esso è, e non per ciò che si decide che debba essere? È possibile che ci si liberi dai recinti di comodo alzati da gruppi di pressione e maestrini del politicamente corretto e si entri nel merito delle questioni? La realtà del “caso Giulio Cesare” è, sfrondata delle chiacchiere inutili, molto semplice: insegnanti ginnasiali hanno assegnato a dei quindicenni di un liceo romano la lettura un libro che si segnala per il suo clima e suoi contenuti “forti”, in particolare (ma non solo) un passaggio che descrive nel dettaglio un rapporto orale omosessuale maschile (su “Avvenire” pur ponendo sin da domenica scorsa il problema, cara dottoressa Atzori, abbiamo deciso di non pubblicare il testo integrale e non me ne pento). Tra questi studenti c’è chi non ci sta, lo dichiara in classe e ne subisce le conseguenze. Si muovono alcune famiglie, s’innesca una vicenda di denunce. Sul piano penale, che non mi appassiona e che non sta a me giudicare. È sul piano civile, che invece mi appassiona e mi interessa molto. Ma quasi tutti e quasi ovunque, con rare e felici eccezioni, parlano e scrivono senza fare riferimento al dato di realtà, e si concentrano su una pretesa volontà di “censura” e, manco a dirlo, su una necessaria pulsione “omofoba” in chi osa obiettare di fronte alla discutibile (e ci mancherebbe che non si potesse discuterla!) iniziativa assunta nella scuola di tutti. Luciano Moia, ieri, ha già argomentato efficacemente su quest’ultimo punto e, dunque, non ci torno su. Ma il girare al largo dal cuore della questione, il risolverla in un peana alla “libera letteratura” è ridicolo e fuorviante. Qui si parla di educazione. E di appropriatezza dei mezzi. Faccio solo un esempio, e nulla più (anche perché gli esempi potrebbero essere diversi e tutti efficaci). Ma parlare di omosessualità, se proprio di questo si voleva trattare in classe, come sobriamente toccò anche a me quasi 40 anni fa con un entusiasta e assai profondo professore, leggendo e studiando di Saffo sarebbe stato così disdicevole e “vecchio”? O affrontarla attraverso la grandezza e la sofferenza dell’altissima poesia di García Lorca? Chi è, insomma, autorizzato ad assestare dalla cattedra “sganassoni di parole” che non tutti (fortunatamente) accettano? Vengo infine a lei, signor Santarelli, e alla sua formale protesta. Posso solo confermarle che certi striscioni e slogan del suo gruppo politico sulle persone omosessuali li ho trovati e li trovo indecenti. E questo anche e soprattutto per i grandi valori ai quali si dichiara di voler fare riferimento (famiglia, vita…). Princìpi che sono sempre radicati – e tanto più per chi si considera cristiano e cattolico – in una luminosa e accogliente concezione della persona umana qualunque condizione essa viva. Considero, tanto per esser chiaro, certe parole d’ordine sinistramente irridenti di Forza Nuova solo un altro modo per assestare “sganassoni di parole”. Inaccettabili. E mi creda è davvero inutile – proprio come quegli altri – provare a nobilitarli.
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