Nel nuovo testo sulle unioni civili
Cesare Mirabelli vede «solo delle variazioni lessicali, la sostanza non cambia». Sono parole di delusione quelle che usa il presidente emerito della Consulta. «L’equiparazione alla disciplina del matrimonio è piena, si ricava dall’insieme dei richiami alla stessa presenti nel testo». E, dopo essersi personalmente speso per favorire una mediazione alta, questo discutibile aggiramento della discussione in commissione – in attesa di verificare gli esiti di quella che avverrà in aula – Mirabelli lo vede come una «occasione mancata».
Come giudica le modifiche nel testo? Mi pare di scorgere, leggendo la nuova versione che circola, un’opera che definirei di 'toilettatura'. Una ripulitura dei richiami espliciti sul piano terminologico al matrimonio, tuttavia ci sono dei punti che in maniera netta portano alla luce l’impostazione dell’intero articolato.
Ad esempio? Basta dare un’occhiata alla nuova formulazione dell’articolo 3. Al comma 3 è stata inserita una serie di rimandi alla disciplina del matrimonio nel codice civile, ne ho contati 17 in materia per indicare i «diritti e doveri derivanti dall’unione civile«. Poi, come se non bastasse, al comma successivo si aggiunge che «le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole 'coniuge', 'coniugi' o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche alla parte dell’unione civile fra persone dello stesso sesso». Più chiaro di così...
Il no all’adozione può essere aggirato? Anche su questo la norma è netta. Non c’è nulla da aggirare. L’articolo 5 consente il percorso semplificato dell’adozione in casi particolari, previsto dalla legge 184, che disciplina l’adozione dei minori, e prevede l’adozione fatta dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge.
Oltre alla stepchild adoption - l’adozione del figlio del partner - arriverà quindi anche l’utero in affitto? Non ci sono ostacoli. Il divieto previsto dalla legge 40, in base a una giurisprudenza ormai ricorrente, può essere aggirato recandosi all’estero, in un Paese in cui la pratica è ammessa.
Ma la novità dell’articolo 1 riformulato che rimanda alle formazioni sociali (e non al matrimonio) non è importante? Sarebbe importantissima se non fosse elusa da tutto il resto dell’articolato.
Perché poi con i ricorsi sarebbe facile ottenere, in base al principio di uguaglianza, la piena equiparazione... Non credo che ce ne sarebbe bisogno. Questa disciplina contiene già la possibilità di affermare sostanzialmente la piena equiparazione.
La Consulta chiedeva di dar vita a una disciplina nuova, appropriata per questa nuova formazione sociale. Non ci sono, ora, anche dubbi di costituzionalità? In astratto sì. Ma in concreto, per ragioni di contesto, vedo difficile perseguire questa strada. Non c’è una singola previsione da sottoporre a questa obiezione, è l’intero impianto della disciplina a suscitare perplessità. Ma è difficile che la Consulta, nel rispetto dell’autonomia del Parlamento, possa spingersi a rigettare per intero un istituto che ha chiesto di disciplinare, sia pure salvaguardando la specificità costituzionale del matrimonio.
Ma andare in aula con un nuovo testo interrompendo una discussione in corso in commissione su altro testo non è anch’essa una forzatura costituzionale? La forzatura è evidente, e mi interrogo ancora sulle ragioni. Ma interrompere il tentativo in corso di arrivare su una materia così delicata a una normativa condivisa è un errore, prima ancora che sul piano giuridico, sul piano sociale. Si darebbe vita una norma gravemente divisiva, un errore che forse si può ancora evitare.