Fai obiezione di coscienza? Allora fuori, qui non c’è posto per te. Due biologhe del laboratorio analisi dell’ospedale di Rovigo, prestate per 1.300 ore all’anno al Centro di procreazione assistita della ginecologia e ostetricia dello stesso presidio, dal primo aprile di quest’anno hanno sollevato obiezione di coscienza. Nei giorni scorsi, una di loro ha ricevuto una lettera del direttore generale nella quale si adombra l’ipotesi di una riduzione dello stipendio e per l’altra c’è la minaccia (solo verbale, al momento) di licenziamento. Arturo Orsini, direttore generale dell’azienda socio-sanitaria di Rovigo, nella missiva protocollata in data 15 maggio, scrive testualmente: «Si fa presente sin d’ora, che essendo lei stata assunta quale vincitrice di un concorso pubblico (omissis) per la copertura di un posto di dirigente biologo per il servizio di procreazione assistita, e, permanendo la necessità dell’azienda di tale professionalità al fine di evitare l’interruzione di pubblico servizio, si valuterà se procedere alla risoluzione del suo rapporto di lavoro, e all’assunzione di altro dirigente». In sostanza, un’obiezione all’obiezione di coscienza. Ma anche dopo una così pesante reazione, le due biologhe non intendono affatto rinunciare alla scelta fatta. Hanno trovato un’alleata in Vincenza Truppo, dirigente medico del laboratorio analisi, che, con indubbio coraggio, si è fatta carico della loro situazione. Ha fatto conoscere il problema al magistrato costituzionalista Giacomo Rocchi, presidente del Comitato Verità e Vita, ricevendo l’assicurazione che le obiezioni procedurali non hanno alcun valore sostanziale. Così garantita, ha deciso di obiettare, punto per punto, alla direzione della sua azienda. «La biologa che ha ricevuto la lettera non è stata assunta per la copertura di un posto per il servizio di procreazione assistita, bensì per un posto di biologa per la SOC Medicina di Laboratorio-dipartimento di Patologia Clinica, da assegnare al servizio di procreazione assistita. In commissione infatti non c’era nessun ginecologo o esperto di procreazione assistita». Dopo il concorso, infatti, la biologa è stata assegnata alla SOC Medicina di laboratorio ma «mai destinata formalmente alla PMA: ci ha lavorato per una piccola parte del suo monte orario (circa 650 ore su 1.925,20 totali) e per la restante parte operava ed opera nel laboratorio analisi». È anche vero, poi, che il servizio di procreazione assistita non rientra in quei servizi essenziali che non possono essere interrotti. «Infatti non tutte le aziende hanno questo servizio, che, se fosse essenziale, dovrebbero avere. Questo permette la sua interruzione - insiste la dottoressa Truppo -, tanto è che il servizio nei mesi estivi, luglio ed agosto, nei dieci anni e più che esiste, è stato sempre interrotto (per permettere ai ginecologi di fare ferie) ed è stato interrotto anche negli altri mesi, se i ginecologi avevano impegni quali convegni o congressi». La Corte costituzionale, con le sue recenti sentenze, ha modificato parti sostanziali della legge 40 sulla procreazione assistita, senza mai modificare nulla - come ricordano anche le biologhe coinvolte nella vicenda - di ciò che è tutelato nell’articolo 16, cioè l’obiezione di coscienza. Gli operatori si trovano oggi dinanzi a nuove prospettive di trattamenti degli embrioni, cosa che può comportare per alcuni problemi etici. Nel caso di Rovigo, l’opzione è stata quella dell’obiezione. E le conseguenze sono, purtroppo, quelle del minacciato licenziamento e della riduzione di stipendio. Ma all’articolo 16 della legge 40 lo Stato ha chiaramente espresso la tutela di un diritto costituzionale che è la libertà di coscienza. «Ci chiediamo se questo diritto all’esercizio della libertà di coscienza possa essere davvero libero se è subordinato al licenziamento. Come si può decidere liberamente se si perde il lavoro? - obietta la dirigente Truppo -. È questo che è scritto nella legge 40? È così che lo Stato tutela un diritto costituzionale?».