Che potere ha un presidente di Regione di stabilire con un diktat a suo garbo, nel suo territorio, i confini di un diritto soggettivo sancito da una legge dello Stato? Nessuno, dice la grammatica costituzionale. Nessuno, ribadisce il diritto amministrativo, che insegna agli allievi, definito il potere, cos’è l’abuso di potere. Eppure nel Lazio, per recente decreto d’un presidente-commissario, i medici dei consultori non potrebbero più chiedere rispetto dell’obiezione di coscienza prevista dalla legge 194. Non che ora siano costretti a fare gli aborti, ci mancherebbe. Però sarebbero coinvolti a forza nella "procedura" certificativa, che per legge prelude all’aborto e lo rende possibile. E inoltre non potrebbero più obiettare contro le pillole del giorno dopo e i dispositivi Iud che impediscono l’annidamento dell’embrione, e se c’è lo fanno "perdere".Due pensieri ci stanno in cuore. Il primo è giuridico, e amaro, eppure ancor tenace di qualche speranza che in questo Paese il diritto non sia diventato una plastilina, secondo umori di piazza o di singoli. No, non c’è presidente di qualcosa che abbia potere di definire, limitare, ampliare, rileggere a suo capriccio una legge dello Stato. Ora la legge 194 testualmente sottrae gli obiettori non solo dai gesti d’aborto ma dalle "procedure" dell’art. 5 (certificazione di preludio). Basta leggere: l’obiezione di coscienza resta una cosa seria, sta nella civiltà umana da millenni, e non come una variabile di organizzazione aziendale. In Italia ha avuto le sue battaglie nel secolo passato, e persino i suoi martiri; e ora il suo assetto, dopo il servizio militare armato, dopo l’aborto e la provetta, dopo la sperimentazione animale persino, è quello in cui si ripete la formula di «libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici». Vogliamo fare, giuridicamente, le proporzioni? Un decreto di commissario regionale sta a queste fonti giuridiche come pulce sta a cattedrale.Ma c’è un secondo pensiero, in cuore, che oggi trabocca per dire che l’obiezione di coscienza dei medici non viene soltanto dall’orrore del sangue e della morte partecipata, ma da una "simpatia" (nell’etimo essenziale che ne intreccia il destino) per la vita sbocciata. E ne venera la dignità e l’incomparabile singolarità. E dunque non solo rifugge l’aborto ma ogni ostilità e aggressione alla vita. Questo spiega perché i meccanismi ostativi alla vita che già potrebbe esser sbocciata entrano nel territorio della coscienza umana che obietta, anche se altri li chiamano "contraccettivi". Un fuoco d’interdizione alla vita, pre o post coitale, può anche non uccider nessuno, se nessuno ancora c’è; ma se è fatto per impedire la vita che "si teme" sbocciata nello sconosciuto figlio eventuale, e se c’è lo uccide, il segno voluto è quello della morte.
Che un medico rifiuti per coscienza d’essere arruolato con le bandiere della morte "eventuale preventiva" non è cosa da Lazio, ma da diritti umani. Non c’è solo la legge 194 a far da confine. Se i dispositivi meccanici Iud (intercettivi) sono arnesi programmati di morte eventuale, la coscienza li rifiuta; se i meccanismi d’azione di alcuni farmaci (vedi la discorde letteratura sul Norlevo) restano dubbiosamente discussi, vale la precauzione di non rischiare la vita. Al di là della legge, il medico ha un codice etico e una "clausola di coscienza" per non piegarsi a trattamenti in conflitto con le sue convinzioni. Forzarla con minacce è incivile. Ne è conferma il responso del Comitato nazionale di Bioetica (2004). Ma pensiamo anche alla cultura umana, sempre più centrata e inchiodata sul bivio della vita e della morte. La visione trascorre dal miracolo stupendo della vita in germoglio all’insignificanza del germoglio respinto e ucciso. Ora serpeggia una specie di coscienza intorpidita, anestetizzata, una sorta di narcolessi che annega il pensiero verso la resa, verso l’armistizio imposto alla vita perdente. Lo dicono alcuni potenti, lo dicono le loro gride. C’è scampo ai fondamentalismi dei decreti? È qui che ancora una volta, come nella storia, l’obiettore diviene uno scatto vivente di provvida rivolta, di dignità, di libertà. È lui che ci conserva uomini, non sudditi. Nel pieno diritto umano.