venerdì 2 agosto 2024
Cosa si scopre quando la vita svolta per una diagnosi che apre un viaggio nel mondo della malattia. Lo racconta il giornalista Andrea Rustichelli
Andrea Rustichelli

Andrea Rustichelli

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Non ci sono mostri e non servono combattimenti, guerre o battaglie buone o cattive. Nel racconto autobiografico dell’uomo e del suo cancro, la malattia è piuttosto un coinquilino che Andrea Rustichelli, giornalista del Tg3 (con una ricca esperienza in varie testate), utilizza per esplorare nel profondo di sé e dei suoi compagni di strada, per guardarsi intorno nel complicato mondo della sanità, tra asperità ma anche delicatezze, con l’abilità, la curiosità e la penna del cronista esperto. “Senza biglietto. Viaggio nella carrozza 048” (Marlin Editore) è un “reportage tra le corsie di un ospedale romano”, in cui Rustichelli racconta il mondo sospeso del malato, e precisamente del malato di cancro.

Le mura del nosocomio trasferiscono il paziente in una realtà parallela, dove l’autore cambia prospettiva per sopravvivere alla diagnosi e calarsi nel nuovo ruolo che lo porterà ad attraversare il guado, spettatore – volente o nolente – dell’esito, spesso non uguale al suo, dei suoi compagni di strada.

Da giornalista affermato, Rustichelli riceve insieme l’accredito per partire per l’Ucraina e la diagnosi che lo mette su tutt’altro vagone. Di qui una serie di considerazioni che si intrecciano con il racconto degli eventi del reparto, tra medici indifferenti ai sentimenti e alle paure dei malati, con i loro termini inafferrabili e i conciliaboli per parlare «del paziente» ma non «al paziente». Vicini di letto con cui si instaura un rapporto inevitabilmente profondo, ma al tempo stesso volutamente superficiale, come a difendersi da una sorte indesiderata che incombe su ciascuno. Ed è qui che «la resistenza al cancro» diventa «una disciplina zen, un modo di configurare e abitare il tempo». Un tempo che si scontra con «il mondo di fuori dei “sani e normali”» che con «le loro frenesie appaiono così poco plausibili».

Ed è come se i riflettori, che per anni hanno accompagnato l’autore nel suo lavoro, illuminassero una diversa prospettiva. «Alla volontà di potenza, che trasforma la malattia nel nostro fallimento, preferisco l’elogio dell’impotenza. Un atto di umiltà che, fuori da ogni senso di colpa, diventa accettazione della fragilità e auspicio». Un’umiltà che non scade in umiliazione nel momento del ritorno alla vita attiva, malgrado l’immagine diversa e le forze fiaccate.

«La verità – scrive Rustichelli – è che oggi, in molti casi, ammalarsi è un tabù e così chi ha una diagnosi di tumore si nasconde, come un animale ferito e non più performante in un ambiente ostile e competitivo. La vita attiva è parte fondamentale della cura, ma quando si tratta di integrare la malattia e di evitare il limbo degli scartati, tutto è lasciato al fai-da-te, al buon cuore di colleghi e capi» per quello che viene definito «un welfare informale, troppo precario e intermittente».

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