Il Parlamento di Westminster con il simbolo: il Big Ben - Ansa
A novembre, quando la Camera dei Comuni approvò in seconda lettura la legge sul suicidio assistito, a piazza Westminster, tra i manifestanti radunati al grido «fateci scegliere», scoppiò la festa: abbracci, urla e lacrime di gioia. «È fatta», gridavano. Il via libera non era definitivo ma segnava una svolta importante perché era la prima, concreta apertura all’eutanasia dopo anni di tentativi falliti. Il dibattito che ne è seguito, fuori e dentro il Parlamento, conferma invece che la partita è tutt’altro che conclusa.
L’entusiasmo “favor mortis” di deputati e cittadini favorevoli alla legge è stato gelato, ieri, dall’audizione in commissione Sanità di Andrew Green, capo del comitato etico della British Medical Association, principale organo di rappresentanza dei medici britannici, che ha rivendicato per la categoria il diritto all’obiezione di coscienza. Il provvedimento, firmato dalla laburista Kim Leadbeater, legalizza l’accesso al suicidio assistito in Galles e Inghilterra per i malati terminali adulti con prognosi di sei mesi, previo parere favorevole di due medici e di un giudice dell'Alta Corte. Green ha invocato a nome dell’intera categoria la libertà di potersi tirare indietro dalla procedura a «qualunque stadio». Una semplice clausola di salvaguardia che gli ultrà del diritto a morire d’Oltremanica liquidano come lungaggine burocratica.
Secondo Green la legge in discussione necessita anche di altri paletti come la formazione di infermieri specializzati e la creazione di un servizio informativo che fornisca dettagli sulle alternative a quella “finale” come le cure palliative. L’esperto ha sottolineato infine la necessità di chiarire, sin da adesso, che il suicidio assistito non diventi «parte del normale lavoro di un medico» in carico al sistema sanitario nazionale. Distinguo importante che guarda al futuro e alle possibili evoluzioni della norma.
La svolta in odore di eutanasia gode del tacito appoggio del premier Keir Starmer. Ma a dire che così com’è non funziona ci si è messo anche un ex giudice dell’Alta Corte, Nicholas Mostyn, intervenuto a spiegare ai deputati che i tribunali inglesi e gallesi non hanno la capacità operativa di occuparsi anche di suicidio assistito. «Ci vorrebbe un panel ad hoc», ha puntualizzato il magistrato in pensione che, impropriamente, ha colto l’occasione dell’audizione per sollecitare il legislatore a estendere l’accesso al suicidio assistito anche ai malati di Parkinson, il morbo, di cui lui stesso è affetto, che in fase terminale può causare «sofferenza intollerabile». «È questo quello che mi aspetta», ha aggiunto ricordando che, difficilmente, una volta approvata, la legge potrà essere cambiata.
Le audizioni degli esperti proseguono a tamburo battente: il testo deve tornare in Aula il 4 febbraio. Protestano le associazioni che rappresentano gli anziani e i disabili, le categorie che rischiano di finire nelle maglie (allargate) della legge, che denunciano di essere state «deliberatamente» tenute fuori dalle consultazioni per mancanza di tempo. Perché, ci si chiede, tutta questa fretta? Quello del suicidio assistito pare essere un treno che Londra non vuole perdere.