mercoledì 25 luglio 2012
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​Il carattere ideologico e contrario al bene della famiglia e della società tutta dell’istituzione del registro delle coppie di fatto, che sta discutendo il Comune di Milano, è opinione diffusa tra le associazioni familiari. Che tornano a domandarsi perché si vogliano favorire forme di convivenza che scelgono di non sposarsi per avere meno doveri e più vantaggi. E non si voglia invece sostenere la famiglia, che investe risorse e fatica per dare un futuro stabile alla società.«Non riteniamo che questo registro rappresenti una vera urgenza per le famiglie milanesi», afferma Robbin Hubbard, rappresentante dell’Associazione nazionale famiglie numerose per la provincia di Milano. E aggiunge: «La situazione di chi ha figli è sempre più dura, come dimostrano i recenti dati Istat, e in questo momento di crisi si fa addirittura drammatica». Secondo Hubbard è chiaro che il sindaco Pisapia «sta pagando una promessa elettorale», ma se il Comune, come ripete spesso, «vuole farsi portavoce degli sviluppi sociali più attuali, deve agire con realismo in favore delle unioni riconosciute, quelle delle coppie vincolate dal matrimonio». Altrimenti, sottolinea Hubbard, sorge spontanea la domanda: «Quale tipo di società ha in mente di sostenere e favorire il Comune? Quella di chi punta sulla precarietà o quella di chi si assume responsabilità e doveri? Occorre guardare alla famiglia come a una risorsa per la costruzione del welfare e vorremmo scelte di qualità da parte del Comune».Valutazioni analoghe sono sviluppate da Paola Soave, presidente del Sindacato delle famiglie: «È evidente che il registro delle coppie di fatto non è una priorità né per Milano né per il Paese. Di fronte alle famiglie senza lavoro, ai giovani che non riescono a sposarsi e a trovare casa, il problema del sindaco è rispondere a una promessa fatta in campagna elettorale per una questione di principio ideologico». Né vale, per Soave, l’alibi della mancanza di tutele per le convivenze: «Con il diritto civile e patti chiari si risolvono la maggior parte dei problemi. Ma il punto è un altro: le coppie di fatto hanno già molti più vantaggi rispetto a chi è sposato: dalle mamme che risultano “single” e passano davanti nelle graduatorie per gli asili, alla tassazione, al fatto che in caso di separazione nessuno paga gli alimenti». E aggiunge: «Bisogna essere onesti fino in fondo di fronte a tutta questa compassione per chi non si è sposato: hanno deciso loro di non farlo. A parte le coppie omosessuali, per le quali però il problema è molto più complesso di come si vuole ridurlo». Sul piano pratico poi, Paola Soave osserva: «Mi pare che la giunta faccia un polverone per nascondere le urgenze che non è riuscita a risolvere, dai custodi sociali che sono diminuiti ai buoni libro che sono stati aboliti».Perplessa è anche Alessandra Tarabochia, presidente regionale della Lombardia del Centro italiano femminile (Cif) che ritiene quella del registro delle coppie di fatto «una definizione ossimorica: se sono coppie di fatto, come possono ottenere tutele giuridiche? I diritti si possono rivendicare solo se si assumono doveri. Il provvedimento in discussione è vago e a maglie larghe, comprendendo anche unioni omosessuali: mi pare che si tratti di un passo ambiguo che va a scapito di chi ha una convivenza stabile e basata su regole fissate dal contratto matrimoniale».Contesta alla radice la logica del provvedimento Paolo Ferrentino, presidente dell’Associazione genitori (Age) della Lombardia: «Non riusciamo a immaginare una famiglia diversa da quella costituzionale: un uomo e una donna tesi alla procreazione in un progetto di vita comune. Che attualmente non è sostenuta, anzi per certi versi è vessata: basta pensare al fisco e ai mancati sostegni per i figli. Le famiglie sono in sofferenza, e molte coppie non riescono a sposarsi per questioni pratiche come la ricerca di una casa. Dare più diritti alle coppie di fatto vuol dire sottrarre risorse e penalizzare la famiglia, che investe sul futuro della società».«Siamo convinti che le coppie che convivono – sostiene Emanuele Bartucci, rappresentante lombardo di Famiglie Nuove  – non abbiano molta intenzione di chiedere un’ufficialità del loro rapporto: la precarietà e la possibilità di sganciarsi sono la loro caratteristica. Le uniche a volere questi registri sono le coppie omosessuali». Ma per il bene comune va sostenuta «la coppia che si assume responsabilità con il matrimonio, civile o religioso, di fronte alla società: è l’unica che può dare garanzie». Quanto ai benefici economici, «possono essere erogati dal Comune anche senza un registro che certifichi un’unione che magari domani non c’è più». «È evidente però – osserva ancora Bartucci – che in questo modo si tenta di modificare il concetto di famiglia. Si crea qualcosa di diverso dal matrimonio civile, nel quale comunque si prendono impegni: si ottengono solo diritti, sa di campagna elettorale e di clientelismo».
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