Ha tolto il camice e ha messo insieme i giorni di ferie che aveva accumulato per cercare di smaltire rabbia e delusione nella sua terra d’origine abruzzese con la famiglia. Ora – da lunedì – è rientrata in servizio all’ospedale di Voghera
Margherita Ulisse, la trentaduenne infermiera del Pronto Soccorso richiamata dai vertici dell’Azienda ospedaliera a inizio ottobre perché si era rifiutata di prescrivere la pillola del giorno dopo a una giovane donna che si era presentata allo sportello del
triage in compagnia del fidanzato. Per lei, però, niente più Pronto Soccorso. È stata dirottata in Cardiologia, per evitare problemi. Ora attende le decisioni dell’Azienda, perché subito dopo l’accaduto aveva rassegnato le dimissioni, poi revocate il 1° dicembre. Entro il 10 avrà una risposta. Nel frattempo è stata contattata da televisioni e giornali, ma ha sempre rifiutato di raccontare la sua vicenda, per rimanere lontana da clamori indesiderati e nella convinzione di non avere compiuto nulla di eccezionale o di scandaloso ma solo agito secondo scienza e coscienza. Ora invece accetta di parlare con
Avvenire, di raccontare al nostro giornale la sua verità.
Margherita, cos’è successo quel giorno di ottobre?Niente di diverso da quanto già avevo fatto in altre quattro occasioni, nei due anni e mezzo in cui sono stata al
triage del Pronto Soccorso: ho applicato l’articolo 8 del nostro Codice deontologico e non ho prescritto un farmaco richiesto, che adesso viene definito contraccettivo ma che fino a poco tempo fa era catalogato come abortivo. È mio diritto farlo. Così come è mio dovere spiegare che uno spermatozoo impiega tre minuti a raggiungere un ovulo e quindi, potenzialmente, ad assegnare dei diritti all’essere umano appena concepito.
Di fronte a lei aveva una giovane donna accompagnata dal fidanzato. Sono stati loro a denunciare la vicenda?Assolutamente no. Qualcuno ha segnalato l’accaduto e quindi sono stata chiamata dai vertici dell’Azienda. Con i due giovani non c’erano stati problemi. Non è assolutamente vero che io non li ho accolti. Mi avevano chiesto la prescrizione per questo farmaco, la ragazza era visibilmente tremante e impaurita. Ho chiesto di poterle parlare personalmente e le ho spiegato le ragioni del mio no. Sono usciti dal Pronto Soccorso tranquilli. Per me la legge della coscienza è più importante di quella dello Stato.
Dunque non era la prima volta che accadeva...No, la quinta in due anni e mezzo. Ed è sempre andato tutto bene. Ho ancora impressi i volti di tutte e cinque la ragazze, perché non si possono dimenticare i tremori e gli sguardi di chi, nel chiedere un farmaco, in realtà cerca una parola di sostegno. Io penso che non esistano donne che non vogliano il loro figlio, i timori derivano da eventuali problemi psicologici, sociali e soprattutto economici. Perciò è importante che queste persone, invece di ricorrere a un farmaco, sappiano che possono essere aiutate nel loro cammino, se dovesse iniziare una gravidanza.
Come mai, quindi, solo a ottobre è scoppiato il caso?Perché il mio no è stato segnalato ai vertici dell’Azienda e a qualche giornale, quindi sono stata chiamata dai dirigenti. Solo per questo, non perché ho ricevuto una denuncia come invece è stato detto e scritto. Non corrisponde a verità.
E che cosa le è stato detto dai vertici aziendali?Che non sarei adatta al Pronto Soccorso, che mi ero arrogata competenze che non mi spettavano e che sarei stata spostata di reparto, anche per mia tutela. Se infatti fossi stata denunciata da qualcuno avrei dovuto farmi difendere da un mio avvocato, perché non sarebbe stato utilizzato quello dell’ospedale. Ho cercato di spiegare le mie ragioni, ho anche fatto presente che si poteva fare riferimento al Comitato di bioetica del Policlinico di Pavia. Nulla da fare: la mia coscienza dovevo tenermela per me. Sono stata messa di fronte a un’unica possibilità: accettare il trasferimento di reparto.
A quel punto ha deciso di dare le dimissioni.Sì, pur avendo un contratto a tempo indeterminato. Non so se definirmi coraggiosa o incosciente... però non avevo intenzione di scendere a compromessi. Le dimissioni sarebbero diventate operative dal 1° gennaio 2015.
Perché poi ha deciso di revocarle?Perché il clamore suscitato dalla mia vicenda ha spaccato in due l’opinione pubblica: sono stata etichettata come bigotta da molti, ma c’è anche chi mi ha fatto sentire la sua vicinanza, come il Movimento per la Vita, alcuni avvocati che si sono offerti di tutelarmi gratuitamente, anche l’allora presidente del Collegio Ipasvi di Pavia Enrico Frisone che mi ha sostenuta con competenza e umanità. Capire di non essere sola mi ha dato forza. Ma non cambio idea: a compromessi non scendo, voglio tornare in Pronto Soccorso. Lotterò per questo, non sono colpevole di nulla.
Cosa risponde a chi, anche all’interno dell’ospedale, l’ha definita bigotta?Che io lavoro con coscienza e che per me l’aborto è un delitto, in qualsiasi momento venga effettuato dopo il concepimento. Il fatto poi che a me piaccia pregare, che vada in chiesa e che mi confessi una volta al mese sono questioni mie, che devono restare private.