Come può una risoluzione parlamentare su un «diritto fondamentale» essere approvata da meno di un quarto dei deputati? È successo mercoledì in Francia, quando questa stranezza lampante si è aggiunta a una lunga catena storica di controsensi che circondano oltralpe il nodo dell’aborto. Votata mercoledì a 40 anni dalla legge Veil che depenalizzò l’aborto, la risoluzione afferma «l’importanza del diritto fondamentale all’interruzione volontaria di gravidanza per tutte le donne, in Francia, in Europa e nel mondo». E chiede che «la Francia persista nel suo impegno a livello europeo e internazionale a favore di un accesso universale alla pianificazione familiare».
Ma sui 577 deputati dell’Assemblea nazionale solo 143 – di tutte le forze politiche – hanno avallato il testo, contro 7 voti contrari, un’astensione e i deputati apertamente critici che hanno preferito non presentarsi in aula. Fra questi, il giovane ex ministro Laurent Wauquiez, astro nascente neogollista, che ha liquidato la risoluzione come una «pura posizione di facciata». Un’allusione al citato "paradosso francese", da anni additato da demografi, sociologi ed esperti di bioetica: nel grande Paese europeo che più ha investito in politiche di contraccezione – e dove sono state inventate tante generazioni di pillole contraccettive e abortive destinate pure al mercato internazionale – il numero degli aborti rimane stabilmente a livelli stratosferici: fra i 210mila e i 220mila casi l’anno, contro 800mila nascite. La scelta dell’aborto s’intreccia ormai al destino di una francese su tre. «Il nostro Paese sembra aver fallito nell’assicurare un’educazione sessuale e affettiva responsabile, accessibile a tutti, capace di prevenire le gravidanze non desiderate», nota il quotidiano cattolico
La Croix. Persino i dossier dell’Ined, l’Istituto nazionale di studi demografici, sottolineano da anni la peculiare e crescente «propensione» delle donne francesi a ricorrere all’aborto, avallando dunque scientificamente, numeri alla mano, il sospetto di una spirale perversa di banalizzazione galoppante.
La Chiesa francese continua a lanciare allarmi, come ha appena fatto il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi. «Il fatto di aver depenalizzato l’aborto – ha dichiarato – non è stato uno strumento palliativo ma, al contrario, di incitamento». Malgrado ciò, a livello politico non si ferma la «deriva che si è prodotta passando da una legge di depenalizzazione fino all’affermazione dell’aborto come un diritto fondamentale della libertà femminile». La realtà vissuta dalle donne sulla propria pelle insegna che «presentare l’aborto come un atto di uguaglianza e liberazione è un’impresa ideologica che non resiste a un banco d’esame». Eppure il diktat della banalizzazione genera «la dimenticanza, l’occultamento e la dissimulazione completa delle conseguenze tragiche dell’aborto che conosciamo bene quando s’incontrano le donne che l’hanno subìto».
Come una macchina fuori controllo, il "paradosso francese" rischia di proseguire la corsa. In estate il Parlamento aveva votato la cancellazione dalla legge Veil del riconoscimento della «situazione di sofferenza» per consentire l’aborto. Come raccomanda un recente rapporto dell’Alto consiglio sull’uguaglianza fra donne e uomini, la politica francese potrebbe presto demolire due altri accorgimenti della legge Veil: il diritto all’obiezione di coscienza per i medici e la riflessione obbligatoria di 7 giorni per le donne.