giovedì 8 agosto 2024
Secondo alcuni media, sulla sospensione della nutrizione assistita per procurare la morte di chi la chiede e su una legge per il suicidio assistito il magistero sarebbe cambiato. Ma non è così
Sul suicidio assistito la Chiesa non ha "cambiato idea"
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Ma davvero la Chiesa ha cambiato idea sul fine vita, come si legge, si vede e si ascolta su numerosi media? L’ipotesi lanciata da Repubblica.it e poi circolata anche altrove con le medesime parole è che ci sarebbe un'imprevista «apertura» su «alimentazione e idratazione» che «si possono sospendere». Tutto nasce dal rilancio dei contenuti di un recente volumetto della Pontificia Accademia per la Vita, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, Piccolo lessico del fine-vita, del quale Avvenire pubblicò l'introduzione a firma del presidente monsignor Vincenzo Paglia il 27 giugno sulla pagina di “è vita”.

Nel capitolo su “Nutrizione e idratazione artificiali (Nia)” si ricorda che la loro sospensione a richiesta del paziente rientra tra i suoi diritti, che «il medico è tenuto a rispettare» quando «la volontà del paziente» è «consapevole e informata». L’Accademia nota che «nelle malattie in cui si protrae uno stato di incoscienza prolungato con possibilità praticamente nulle di recupero – come nel caso dello stato vegetativo permanente –, si potrebbe sostenere che, in caso di sospensione delle Nia, la morte non sia causata dalla malattia che prosegue il suo corso, ma piuttosto dall’azione di chi le sospende». Occorre però considerare che «le singole funzioni dell’organismo, nutrizione inclusa – soprattutto se colpita in modo stabile e irreversibile –, vanno considerate nel quadro complessivo della persona e della sua dimensione corporea». Dunque sospendere la nutrizione in caso di malattia «stabile e irreversibile» e «con possibilità praticamente nulle di recupero» può essere il modo in cui si evita quel che il Papa ha definito «la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona», dunque astenendosi da forme di accanimento. Un’affermazione che conferma quanto scrisse l’allora Congregazione per la Dottrina della fede quando, rispondendo nel 2007 a un quesito dei vescovi americani, considerò la somministrazione della Nia «moralmente obbligatoria in linea di principio […] nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente». Criterio chiaro, confermato oggi.

Una posizione che si rinviene già nel magistero di Pio XII, che nel 1956 – come ricorda Paglia in un’intervista ai media vaticani - «affermò la liceità della sospensione della ventilazione se ricorrevano alcune gravi condizioni». Non sorprende dunque se il testo vaticano del 2007 in tema di Nia «ha riconosciuto che possano essere lecitamente interrotte (o non iniziate) quando comportano “un’eccesiva gravosità o un rilevante disagio fisico”. Sono due criteri che fanno parte della definizione dei trattamenti non proporzionati, cioè quelli che sono da sospendere. È una valutazione che richiede sempre, per quanto possibile, il coinvolgimento della persona malata». Dov’è dunque la novità? La posizione della Chiesa sul fine vita resta quella di sempre: «La Chiesa – spiega Paglia – ribadisce la sua assoluta contrarietà verso qualsiasi forma di eutanasia e suicidio assistito. Ed è anche la mia convinzione, anche se qualcuno vuole farmi dire il contrario».

Ma attenzione: se nel consolidato magistero c’è l’invito a non accanirsi astenendosi da trattamenti che – anche se ordinariamente indispensabili – date certe condizioni possono diventare inutilmente gravosi, questo non deve essere scambiato per una “apertura” alla morte procurata. «Anche la Chiesa – spiega Paglia – invita a riflettere su quanto l’ostinazione irragionevole (accanimento terapeutico) non sia espressione di una medicina e di cure davvero a misura e a favore della persona malata. La morte è purtroppo una dimensione della vita. È inevitabile. Certo, non dobbiamo mai accorciare la durata della vita, ma neppure ostinarci a voler ostacolare in ogni modo il suo corso. Siamo fragili. Ed ecco, allora, il perché dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri. Dobbiamo impegnarci molto di più di quel che normalmente si fa per accompagnare le persone nelle fasi finali della loro esistenza, sapendo che per noi credenti la morte non è l’ultima parola».

Altro punto sul quale si è ritenuto di vedere nel Piccolo lessico una novità nell’approccio della Chiesa al fine vita è quello di una possibile legge per dettare limiti al suicidio assistito quando – come accade in Italia – ci sia una o più sentenze della Corte costituzionale che hanno già aperto una breccia nella indisponibilità della vita e che chiedono un intervento del legislatore per definire con chiarezza i criteri rigorosi per definire quella che resta un’eccezione in casi estremi. Nella citata introduzione al Piccolo lessico Paglia invoca «soluzioni condivise» e «un punto di mediazione accettabile fra posizioni differenti» lasciando «aperto lo spazio per la ricerca di mediazioni sul piano legislativo, secondo il tradizionale principio delle “leggi imperfette”».

Niente di differente, cioè, rispetto a quanto accadde con la legge sulla Procreazione medicalmente assistita, varata nel 2004 e definita “legge non certo cattolica” ma frutto di questo lavoro di «mediazione» di fronte alla realtà del “far west procreativo” che andava urgentemente arginato. A difesa di quella legge “non cattolica” la Chiesa italiana – e Avvenire, con la nascita delle pagine di "è vita" – si schierò per sottrarla alla manomissione in senso ampiamente permissivo attraverso i referendum del giugno 2005 che poi fallirono anche grazie al “non voto” per il quale il mondo cattolico molto si spese.

La stessa dottrina della “legge imperfetta” è espressa con chiarezza nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2007) dove al paragrafo 570 si legge che «nel caso in cui non sia stato possibile scongiurare l’attuazione di tali programmi politici o impedire o abrogare tali leggi, il Magistero insegna che un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione a essi fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di tali programmi e di tali leggi e a diminuire gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica». Anche sul punto dei criteri per l’elaborazione di una possibile legge, dov’è la novità?

E allora, c’è da chiedersi, di fronte a questa evidente forzatura agostana su un libro di documentazione che già circola da quasi due mesi, “cui prodest”: in vista della ripresa parlamentare del dibattito su nuove regole sul fine vita cosa, annunciata per il 17 settembre in Senato, cosa si vuole ottenere cercando di far credere che la Chiesa avrebbe “ceduto”?

«Certo – conclude Paglia nell’intervista diffusa da Vatican News –, sui temi fondamentali e delicatissimi del fine vita è auspicabile che si raggiunga il più alto consenso comune possibile, e quindi che tiene contro in modo rispettoso delle diverse sensibilità e credi religiosi. È il compito della politica. La Chiesa può collaborare, in vista del bene comune di tutta una società. A lei spetta la formazione delle coscienze, più che l’elaborazione delle leggi».

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