Si era partiti con piglio ragionevole: quello di seguire una linea comune, nell’ormai intricatissima vicenda della fecondazione eterologa, per sopperire almeno in parte alla spirale di incertezza innescata dalla sentenza della Corte Costituzionale (un cortocircuito che necessita di una legge ad hoc di riparazione, su cui i tempi del Parlamento sono tuttavia molto incerti).E invece, all’indomani dell’incontro tra i governatori a Roma sulla questione, le Regioni appaiono divise sul da farsi. Con dichiarazioni d’intenti che fanno temere il peggio. La posizione “spartiacque” è, ovviamente, quello della Toscana: dove «il diritto al figlio è una realtà», come ha voluto rimarcare vittorioso il governatore Enrico Rossi ieri su Facebook. A Firenze e dintorni è stata approvata già lo scorso 28 luglio una delibera con cui l’eterologa è entrata nelle strutture regionali e proprio ieri è stata annunciata una seconda delibera pronta a normare la questione del ticket (si parla di 500/600 euro per i cittadini residenti). Ed è in forza di questi “passi” che ora la Liguria, per esempio, batte i pugni sul tavolo: «Noi abbiamo una propria proposta molto vicina a quella messa a punto dalla Regione Toscana – spiega l’assessore alla Sanità e vicepresidente della Regione Claudio Montaldo –. Lavorerò fino all’ultimo finché ci sia una posizione comune tra tutte le Regioni ma se non si trova procederemo autonomamente». Sulla stessa linea, anche se meno perentorio, l’avviso del governatore del Veneto Luca Zaia: «Siamo davanti ad un’azione governativa che non si concretizza – osserva Zaia – e in assenza di una decisione, come Veneto siamo pronti a dare una risposta ai cittadini». Più caute Umbria e Marche, ancora convinte che sia debba lavorare a una linea comune – seppure improntata fortemente sul modello Toscana – per poi mettere il governo davanti a una direttiva fatta e finita, soltanto da recepire.Di segno opposto il parere della Lombardia, che con l’assessore alla Sanità Mario Mantovani rispedisce al mittente ogni ipotesi di precedere (o addirittura di scavalcare) il Parlamento: «Una legge è necessaria per garantire la massima tutela a donne ed embrioni. Altrimenti rischiamo un secondo caso Stamina». Sulla sua linea anche il governatore campano Stefano Caldoro, mentre a tentare una sintesi è ancora una volta il Piemonte: «La nostra posizione è quella di trovare un’intesa tra tutte le Regioni, noi non siamo per fare delle fughe in avanti, ci interessa avere una posizione comune per evitare una sorta di “federalismo” sull’eterologa». L’obiettivo secondo l’assessore alla Sanità di Chiamparino, Antonio Saitta, «non è registrare le differenze, ma trovare punto comune. Se come Regioni abbiamo la capacità di farlo, risolviamo una grande questione: abbiamo una responsabilità enorme». L’ipotesi sarebbe quella di mettere a punto delle linee guida – già stamattina si incontreranno i tecnici delle Regioni – da approvare in Conferenza Stato-Regioni.I nodi cruciali da affrontare restano sempre gli stessi, delicatissimi: sono i criteri con cui affrontare la selezione del donatore (per esempio l’età minima e massima), l’istituzione di un registro dei donatori (per fissare un numero massimo di donazioni), la garanzia della tracciabilità del percorso dal donatore al ricevente, la gratuità della donazione, l’anonimato e il consenso informato, gli esami genetici e infettivi. E bisognerà stabilire se e quanto la prestazione sarà fatta pagare ai cittadini. Nodi su cui la posizione presa autonomamente dalla Toscana è decisamente discutibile: basti pensare che all’allegato B, punto 3.3 del documento si esplicita che per potenziali donatori e donatrici devono essere specificati, oltre all’«etnia di appartenenza», anche «peso e altezza, colore degli occhi – castani, verdi, neri, azzurri –, colore naturale dei capelli – nero, castano, biondo, rosso –» e ancora «tipo naturale di capelli – lisci, ondulati, ricci –, carnagione – pallida, rosea, olivastra, scura». Le premesse, insomma, di quella selezione eugenetica del bambino categoricamente esclusa dalla legge 40 e dalla stessa bozza di decreto legge presentata dal ministro della Salute Lorenzin in Parlamento.