Resta un mistero come si possa garantire la salute e la vita del nascituro scartandolo se non lo si ritiene adatto. L’accesso alla diagnosi preimpianto dell’embrione per le coppie non sterili ma portatrici di malattie genetiche è un percorso battuto da tempo che prende l’avvio dal divieto di selezione tout court. I precedenti riguardano le pronunce di singoli tribunali: nel 2007 il Tribunale di Cagliari e il Tribunale di Firenze, il Tribunale di Bologna nel 2009 e il Tribunale di Salerno per due volte nel 2010. Nel 2008 il Tar del Lazio annulla le linee guida ministeriali che ricalcano quanto sancisce la legge 40/2004 nel punto in cui prevede che l’indagine sugli embrioni possa essere soltanto di tipo osservazionale. Nel 2012 il Tribunale di Cagliari ordina al laboratorio di citogenetica dell’ospedale Microcitemico di eseguire l’indagine diagnostica o di utilizzare strutture esterne a seguito della fecondazione in vitro della coppia infertile ricorrente. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo è intervenuta in materia con il caso «Costa e Pavan», rilevando una discriminazione rispetto alla possibilità di far ricorso alla diagnosi prenatale e quindi, eventualmente, all’aborto. Infine, a gennaio scorso, ha ottenuto un rinvio alla Consulta dal Tribunale di Roma anche un’altra coppia non sterile dove però la donna è portatrice sana della distrofia muscolare Becker e si è vista opporre un rifiuto dal centro cui si era rivolta per selezionare un embrione sano. Infatti, nonostante le sentenze intervenute in questi anni, restano ancora alcuni divieti fondamentali della Legge 40 relativi alla fecondazione artificiale come il ricorso all’utero in affitto, la compravendita di ovociti e la selezione degli embrioni.
Il rilievo di incostituzionalità presentato dal Tribunale di Roma, in attesa di pronuncia, si basa sulla tesi che la Legge 40 confligge con il principio costituzionale di uguaglianza attraverso «la discriminazione delle coppie fertili portatrici di malattie geneticamente trasmissibili rispetto a quelle sterili». Le pressioni che si moltiplicano per garantire l’accesso alla provetta a coppie fertili ma portatrici di problemi genetici aprono due fronti ugualmente insidiosi. Da un lato, una volta dischiusa la strada alla selezione degli embrioni sulla base di possibile rispondenza a una malattia genetica, tra le migliaia di malattie genetiche ereditarie e che comportano conseguenze di gravità variabile, di quali sarà proibita la ricerca e l’individuazione? Quante e quali patologie invece potranno essere soggette a screening? E in ballo rischia di esserci la questione dei diritti procreativi delle coppie omosessuali. Infatti, secondo la sentenza di aprile con cui la Corte Costituzionale, aprendo a gameti esterni alla coppia, ha anche sancito il diritto "incoercibile" a un figlio, il gioco a incastri si completerebbe con l’accesso onnicomprensivo alle tecniche di Pma anche a coppie fertili ma nell’impossibilità di procreare. Se si arrivasse a sentenza favorevole la nozione di sterilità diverrebbe necessariamente più ampia. E chi è nella maggiore impossibilità più di una coppia di persone dello stesso sesso?