Dietro la pretesa di costruirsi con la provetta eterologa un figlio
à la carte – razza, colore della pelle, occhi, capelli... – c’è l’idea di considerare il bambino un «prodotto». «E in quanto tale siamo persino tenuti a una sorta di controllo di qualità. Altrimenti sarà come avere acquistato, per colpa della nostra superficialità, un bene avariato», spiega la neuropsichiatra infantile Mariolina Ceriotti Migliarese. Ed è questo l’assunto che muove alla selezione dei gameti. Un’opzione che il decreto del ministero della Salute sull’eterologa esclude ma che potrebbe rientrare in Parlamento.
Che cosa spinge ad avere un figlio su misura?L’idea di un atteggiamento onnipotente, paradossalmente tanto più intenso quanto più ci sentiamo impotenti e spaventati dalla realtà della vita, proprio così com’è con le sue imperfezioni e i suoi rischi. Questa impronta esistenziale ci rende estremamente fragili e dunque fa di noi anche educatori meno capaci.
Ci sono altre questioni aperte da questa richiesta?Certo. Come ci confronteremo con il manifestarsi, peraltro inevitabile, di carenze, imperfezioni, limiti, tratti difficili del carattere? E ancora: come faremo a trovare il difficile equilibrio tra l’accettare il figlio così com’è e il correggerlo? Si tratta di un tema relazionale importante. Tra genitori e figli si giocano sempre dinamiche complesse e in parte inconsce nelle quali l’ambivalenza ha un posto centrale: ognuno di noi sa di provare verso i figli sentimenti contrastanti, di alternare approvazione e disapprovazione, soddisfazione e delusione. Ma è possibile far fronte a questa ambivalenza di sentimenti grazie al «contenitore buono» dato dal senso di appartenenza reciproca che nasce proprio dalla forza delle relazioni di paternità, maternità e filiazione.
C’è chi paragona la provetta eterologa all’adozione o all’affido...Questi però partono dal presupposto esplicito di accogliere un figlio di altri. E ciò permette ai genitori, e in seguito anche ai figli, di fare i conti in maniera consapevole con il tema dell’ambivalenza, pur in assenza della forza data dal contenitore che il legame biologico rappresenta. Nell’eterologa questa realtà, che continua a sussistere, non è presente come presupposto logico esplicito. Al contrario: chi sceglie questa tipologia di fecondazione assistita lo fa proprio nell’idea che, a differenza dell’adozione, avrà davvero un figlio «suo». La realtà non accolta dalla consapevolezza si trasforma perciò in un fantasma che sussiste nell’inconscio, benché negato e ignorato. E tutto ciò non può che interferire in modo significativo con la relazione tra quei genitori e il figlio.