Birthe Lejeune, vicepresidente della Fondazione intitolata al marito Jérôme
La morte del marito, il celebre genetista francese e difensore della vita Jérôme Lejeune, oggi servo di Dio, la mattina di Pasqua 1994, fu un baratro per Birthe Lejeune. Pochi credevano che la donna d’origine danese avrebbe perpetuato l’impegno di colui che fu scelto da san Giovanni Paolo II come primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita. La notizia della scomparsa, ieri a 92 anni, della vedova, vicepresidente della Fondazione Lejeune, malata di cancro, ha commosso ben al di là della Francia: «La Fondazione perde la sua persona più cara», ha dichiarato l’ente morale che, per volontà di Birthe, conserva da 25 anni il triplice scopo di «ricercare, curare, difendere», finanziando decine di progetti sulla trisomia 21 (sindrome di Down) di cui Lejeune scoprì la causa, e le altre «malattie genetiche dell’intelligenza». L’epistolario degli sposi è fra i documenti della causa di beatificazione del gigante della scienza e dell’umanesimo cristiano del XX secolo. «Non abbiamo abbandonato quei bambini e non abbiamo smesso di consigliare le famiglie, proprio come faceva lui», aveva dichiarato l’anno scorso Birthe, con profonda emozione, nella sua ultima intervista ad Avvenire. «Le loro testimonianze di fede e vita – ha scritto in un messaggio di cordoglio il presidente dell’Accademia monsignor Vincenzo Paglia – saranno sempre con noi».