mercoledì 5 giugno 2024
La Giornata Onu evidenzia come i più giovani siano anche i più preoccupati per il futuro del pianeta. In Corea del Sud i piccoli hanno fatto causa allo Stato accusato di inerzia
Bambini manifestano per la salute della Terra

Bambini manifestano per la salute della Terra - Reuters

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Sui sussidiari dei bambini degli anni Novanta i cambiamenti climatici occupavano le ultime pagine, dove il concetto di cui la comunità scientifica discuteva da tempo si era invece affacciato in ritardo. All’epoca anche l’educazione scolastica all’ecologia equivaleva a cartacce da raccogliere e al massimo da differenziare. Trent’anni dopo non solo ai piccoli alunni viene insegnato per filo e per segno cosa significano effetto serra, innalzamento degli oceani ed emissioni climalteranti ma sono i bambini stessi che percepiscono il tema come scottante: chiedono più notizie a riguardo, nel loro piccolo adottano stili di vita sostenibili e fin da giovanissimi si trasformano in attivisti di statura fisica – ma non morale – ridotta.

Anzitutto è una questione anagrafica: della salute del pianeta è preoccupato soprattutto chi sulla Terra prevede di starci a lungo. È di queste settimane, per esempio, la notizia che un gruppo di bambini (tra cui figura persino un neonato) ha aperto insieme ai genitori una causa per inazione climatica contro la Corea del Sud. È la prima volta che nel continente asiatico viene intentata un’azione legale con l’obiettivo di definire politiche ambientali insufficienti come una violazione dei diritti umani delle nuove generazioni. Perciò il caso ha già fatto la storia anche se la Corte costituzionale deve ancora pronunciarsi sulla sua ammissibilità. I bambini d’altronde sono stati i ricorrenti di cause simili anche in Pakistan, Stati Uniti, Germania, Paesi Bassi, Uganda e Portogallo e con la loro azione hanno fornito un corpus di giurisprudenza prezioso per la nuova branca climatica del diritto. Qualche ricorso ha anche già avuto esito positivo, come quello intestatosi da sedici ragazzi americani tra i 5 e i 22 anni che l’anno scorso hanno dimostrato di essere stati danneggiati dall’amministrazione del Montana, colpevole di aver abusato di combustibili fossili.

Insomma, altro che bisogna-partire-dalle-scuole o insegnare-prima-ai-bambini: basta prestare un occhio attento alla cronaca per rendersi conto che, se la crisi climatica dovrebbe essere una questione centrale per tutti, oggi lo è per davvero quasi solo per la generazione di giovani e giovanissimi. Il merito ovviamente è anche di insegnanti, associazioni, genitori, programmi tv, libri e riviste che in anni di lavoro hanno nutrito un humus da cui possono nascere storie come quella di Ali Waters, una bambina spagnola di 10 anni che «odia vedere i pezzetti di plastica nell’ambiente» e perciò ha lanciato una campagna per raccogliere in un anno un milione di oggetti dispersi, insieme all’associazione “Kids against plastic”, a sua volta fondata nel 2016 da due sorelle inglesi di 12 e 10 anni e che oggi conta trecento associati under 13. Il contesto favorisce pure una vocazione tipo quella di Farmer Joe, dodicenne inglese il cui sogno non è fare l’influencer ma il contadino e che oggi ha affittato un piccolo appezzamento per coltivare patate bio e allevare pecore.

Anche in Italia non mancano le iniziative: dalle azioni, numerosissime, di pulizia urbana coordinate da classi e oratori, alle invenzioni e belle idee tipo quelle messe sul tavolo dell’architetto Matteo Dondé dagli alunni di una scuola elementare e una media di Trento. Interpellati su quale forma dare all’area davanti ai loro istituti del quartiere Gardolo, i ragazzi hanno cancellato i parcheggi per le auto e inserito nuove panchine, posti per le biciclette e alberi per creare zone d’ombra. Nella lista dei minorenni che stanno cambiando il mondo secondo il Washington Post, c’è anche la quindicenne Alice Imbastari di Roma: la ragazzina si è scoperta attivista climatica durante le manifestazioni Fridays For Future e ripulendo ogni settimana le spiagge del litorale laziale da chili e chili di plastica.

I bambini si rimboccano le maniche per difendere il clima, non hanno in alcun modo contribuito a causare il surriscaldamento globale, eppure sono proprio i primi a esserne penalizzati. Un recente studio pubblicato su Nature, per esempio, ha evidenziato che i ragazzi che vivono in Paesi dove gli effetti della crisi climatica sono più evidenti sono anche quelli che perdono il maggior numero di occasioni di studio. Le ondate di caldo peggiorano la concentrazione e rallentano l’apprendimento; le alluvioni danneggiano edifici scolastici e qualche volta anche le strade per arrivarci; inoltre, spesso, gli eventi meteo estremi costringono i ragazzi a trasferirsi e ad abbandonare gli studi. Dal 2016 al 2021 – rileva l’Unicef – sono stati 43,1 milioni i minori forzati a lasciare le proprie case a causa di tempeste, inondazioni e altri eventi estremi che hanno riguardato soprattutto Filippine, India e Cina. Il risultato è confermato da un rapporto Save the children: la metà degli adolescenti che non va a scuola nel mondo vive nei 36 Paesi più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico.

Come risposta a questa situazione, in Colombia il quattordicenne Francisco Vera – che è stato nominato ambasciatore di buona volontà dall’Unione europea – ha riunito un gruppo di coetanei e nel 2019 ha fondato il movimento climatico “Guardianes por la vida” per pulire spazi urbani e piantare alberi ma anche sensibilizzare l’opinione pubblica, protestare e far sentire la voce dei giovani ai politici. A Bali invece – isola paradisiaca dell’Indonesia ormai sommersa dalla plastica – l’undicenne Joseph Wijaya ha fondato il servizio Joseph Recycling. Il bambino ritira i rifiuti da circa 200 alberghi, ristoranti e case; li porta in un magazzino, li smista a seconda della composizione e poi li vende al corretto impianto di riciclaggio. Non è solo un’azione ambientalista: con il ricavato Joseph ha pagato la retta scolastica a 24 bambini dell’orfanotrofio di Bali e ora spera di fare meglio. Per aumentare i guadagni ha iniziato a sciogliere i tappi delle bottiglie di plastica; li comprime con una pressa per toast e poi, usando le formine dei biscotti, modella portachiavi colorati che poi vende nei mercatini locali. Attualmente Joseph sta facendo una raccolta fondi per comprare uno scanner in grado di identificare con precisione il tipo di plastica di qualsiasi oggetto, anche quando il marchio che ne segnala la composizione non è più leggibile. In questo modo spera di riuscire a riciclare correttamente tutta la plastica che raccoglie e a pagare gli studi a molti più bambini svantaggiati. Ma l’attività, che pure è seria e impegnativa, non gli ha tolto il sorriso né il candore dei suoi 11 anni: «Se anche voi volete lanciare un’iniziativa a difesa del clima – consiglia infatti ai suoi follower – fate come me: partite con quello che avete già in casa, divertitevi e soprattutto prima spiegate il progetto a mamma e papà».

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