mercoledì 12 febbraio 2025
Il ricordo del figlio Giovanni a 45 anni dall'assassinio dell'uomo al quale Giovanni XXIII e Paolo VI affidarono la missione di guidare il rinnovamento dell’Ac secondo il Concilio Vaticano II
Paolo VI abbraccia Vittorio Bachelet, con il quale aveva una profonda sintonia

Paolo VI abbraccia Vittorio Bachelet, con il quale aveva una profonda sintonia - Vatican Media

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A quarantacinque anni dall’assassinio di Vittorio Bachelet per mano delle Brigate Rosse, la sua testimonianza risuona ancora con forza e attualità. Il figlio, Giovanni Bachelet, che all’epoca aveva quasi 25 anni, ci guida in un viaggio toccante e profondo tra gli ideali e le sfide di quegli anni, offrendo un messaggio di speranza che parla direttamente ai nostri giorni. Il racconto parte proprio dai fatidici anni ’70: «In quegli anni c’erano moltissime persone che si impegnavano e ci sono state riforme che hanno trasformato la società italiana: il servizio sanitario nazionale, lo statuto dei lavoratori, la scuola media unica, il nuovo diritto di famiglia. Anni belli rovinati dall’idea che si fa prima a fare giustizia sparando o mettendo bombe piuttosto che con la fatica della democrazia. Però, come scriveva mio padre, la democrazia non è la via più lunga per una maggiore giustizia nella società, ma l’unica via».

L’amore per la democrazia è stato il motore della vita di Vittorio, tanto nell’impegno civile quanto in quello associativo: «L’Azione cattolica è stata l’esperienza centrale della vita di mio padre», racconta Giovanni riportando alla mente gli anni in cui proprio a Vittorio Bachelet, insieme al vescovo Franco Costa, fu affidata, da papa Giovanni XXIII prima e da papa Paolo VI dopo, la missione di guidare il rinnovamento dell’Azione cattolica per attuare il Concilio, che Vittorio affrontò dedicando le sue energie a democratizzare la vita dell’associazione, a promuovere una nuova corresponsabilità dei laici e ad accompagnare la riforma liturgica.

Raccontando le conquiste e anche le fatiche e le critiche che questi cambiamenti portarono con sé, Giovanni ricorda col sorriso e con affetto il ruolo giocoso e carismatico di suo padre e di don Costa: «Non erano uomini rigidi o austeri come ci si potrebbe immaginare: avevano grande senso dell’umorismo e affrontavano le sfide di quei tempi con il sorriso e una buona dose di autoironia. Me li ricordo in montagna insieme, entusiasti delle novità conciliari eppure capaci di cogliere aspetti esilaranti non solo nei preti e nei laici nostalgici e reazionari, ma anzitutto in sé stessi e negli amici rinnovatori. Questo atteggiamento li ha aiutati a guidare l’associazione con mano ferma e spirito umano e inclusivo al tempo della “contestazione globale”».

L’ottimismo di Vittorio, che lo ha sempre caratterizzato, non era cecità verso le difficoltà e i problemi profondi che affliggevano il suo tempo, specifica il figlio, ma derivava da profonda fede, comprensione della realtà e sicurezza di sé. Affrontare le sfide con gioia, speranza e competenza è uno stile e una strada da seguire anche oggi. Ai giovani sconfortati dalla violenza, dalle ingiustizie e dall’apparente declino della politica e della democrazia, Giovanni risponde ricordando un pensiero di Giorgio La Pira ascoltato a un convegno della Fuci, quando era studente di Fisica. Alla superficie degli oceani le acque sono agitate e suggeriscono l’immagine del caos; la maggior parte dell’acqua e del calore è però trasportata da correnti profonde e silenziose. Anche nel profondo della storia, agitata alla superficie, ci sono grandi correnti che la portano verso l’unità e la pace. «Questo mi ha insegnato a non fermarmi alla prima impressione, mi ha ricordato che per cambiare le cose serve il coraggio morale di non rassegnarsi a ciò che si vede e anche il coraggio intellettuale di approfondire».

Il giovane Bachelet e sua sorella ci credevano. Per questo, nonostante la consapevolezza dei rischi che il padre correva, non gli hanno consigliato un passo indietro di fronte a impegni politici e istituzionali per lui inediti, anzi, «nel 1976 sia io che mia sorella lo abbiamo incoraggiato a dare una mano a Moro e Zaccagnini, tanto che, a posteriori, ci siamo quasi sentiti in colpa». Erano orgogliosi del padre; oltre all’orgoglio, racconta Giovanni, c’era la speranza che l’immissione di forze nuove e sane nella democrazia italiana riuscisse a farla uscire dalla grave crisi politica ed economica in cui si trovava già da qualche anno.

«Nel momento stesso in cui papà, cinquantenne, accettava responsabilità politiche e istituzionali, mi ricordava però, citando un’enciclica di Giovanni XXIII, che per una politica efficace, oltre alla santità (vocazione di ogni battezzato), occorrono conoscenza e competenza. A me, allora studente, ricordava che alla mia età il modo principale per cambiare il mondo era quello di continuare a studiare, per acquisire conoscenze e competenze che ancora non avevo».

A chi non ha mai conosciuto la figura di Vittorio, suo figlio lo descrive così: «Fede, ottimismo, sicurezza di sé, questo era mio padre. Ricordo lunghe chiacchierate notturne con lui, spesso impegnative. Mi sarebbe piaciuto ereditare la sua capacità di ascoltare a lungo i figli e cogliere la verità che emerge in un dialogo sincero e privo di pregiudizi; temo invece di essere stato un padre impulsivo e poco paziente; ormai nonno, spero di saper ascoltare almeno i nipotini».

Vittorio Bachelet non è stato solo una figura di spicco nella storia del nostro Paese, della Chiesa e dell’Azione cattolica, ma anche un padre amorevole e presente. Questo racconto del figlio offre l’opportunità di scoprire non solo l’uomo dei grandi ideali, ma anche il Vittorio intimo, capace di gesti semplici e profondi, come dimostra l’ultima telefonata fatta a Giovanni: «Gli chiesi: come stai? Lui mi rispose: “bene, quando ti sento”». A quarantacinque anni dalla tragica scomparsa, Vittorio Bachelet non appartiene solo alla storia: il suo messaggio di fede, speranza e impegno concreto, continua a parlare al presente e ha ancora molto da insegnare per il futuro.

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