
Paolo VI abbraccia Vittorio Bachelet, con il quale aveva una profonda sintonia - Vatican Media
A quarantacinque anni dall’assassinio di Vittorio Bachelet per mano delle Brigate Rosse, la sua testimonianza risuona ancora con forza e attualità. Il figlio, Giovanni Bachelet, che all’epoca aveva quasi 25 anni, ci guida in un viaggio toccante e profondo tra gli ideali e le sfide di quegli anni, offrendo un messaggio di speranza che parla direttamente ai nostri giorni. Il racconto parte proprio dai fatidici anni ’70: «In quegli anni c’erano moltissime persone che si impegnavano e ci sono state riforme che hanno trasformato la società italiana: il servizio sanitario nazionale, lo statuto dei lavoratori, la scuola media unica, il nuovo diritto di famiglia. Anni belli rovinati dall’idea che si fa prima a fare giustizia sparando o mettendo bombe piuttosto che con la fatica della democrazia. Però, come scriveva mio padre, la democrazia non è la via più lunga per una maggiore giustizia nella società, ma l’unica via».
L’amore per la democrazia è stato il motore della vita di Vittorio, tanto nell’impegno civile quanto in quello associativo: «L’Azione cattolica è stata l’esperienza centrale della vita di mio padre», racconta Giovanni riportando alla mente gli anni in cui proprio a Vittorio Bachelet, insieme al vescovo Franco Costa, fu affidata, da papa Giovanni XXIII prima e da papa Paolo VI dopo, la missione di guidare il rinnovamento dell’Azione cattolica per attuare il Concilio, che Vittorio affrontò dedicando le sue energie a democratizzare la vita dell’associazione, a promuovere una nuova corresponsabilità dei laici e ad accompagnare la riforma liturgica.
Raccontando le conquiste e anche le fatiche e le critiche che questi cambiamenti portarono con sé, Giovanni ricorda col sorriso e con affetto il ruolo giocoso e carismatico di suo padre e di don Costa: «Non erano uomini rigidi o austeri come ci si potrebbe immaginare: avevano grande senso dell’umorismo e affrontavano le sfide di quei tempi con il sorriso e una buona dose di autoironia. Me li ricordo in montagna insieme, entusiasti delle novità conciliari eppure capaci di cogliere aspetti esilaranti non solo nei preti e nei laici nostalgici e reazionari, ma anzitutto in sé stessi e negli amici rinnovatori. Questo atteggiamento li ha aiutati a guidare l’associazione con mano ferma e spirito umano e inclusivo al tempo della “contestazione globale”».
L’ottimismo di Vittorio, che lo ha sempre caratterizzato, non era cecità verso le difficoltà e i problemi profondi che affliggevano il suo tempo, specifica il figlio, ma derivava da profonda fede, comprensione della realtà e sicurezza di sé. Affrontare le sfide con gioia, speranza e competenza è uno stile e una strada da seguire anche oggi. Ai giovani sconfortati dalla violenza, dalle ingiustizie e dall’apparente declino della politica e della democrazia, Giovanni risponde ricordando un pensiero di Giorgio La Pira ascoltato a un convegno della Fuci, quando era studente di Fisica. Alla superficie degli oceani le acque sono agitate e suggeriscono l’immagine del caos; la maggior parte dell’acqua e del calore è però trasportata da correnti profonde e silenziose. Anche nel profondo della storia, agitata alla superficie, ci sono grandi correnti che la portano verso l’unità e la pace. «Questo mi ha insegnato a non fermarmi alla prima impressione, mi ha ricordato che per cambiare le cose serve il coraggio morale di non rassegnarsi a ciò che si vede e anche il coraggio intellettuale di approfondire».
Il giovane Bachelet e sua sorella ci credevano. Per questo, nonostante la consapevolezza dei rischi che il padre correva, non gli hanno consigliato un passo indietro di fronte a impegni politici e istituzionali per lui inediti, anzi, «nel 1976 sia io che mia sorella lo abbiamo incoraggiato a dare una mano a Moro e Zaccagnini, tanto che, a posteriori, ci siamo quasi sentiti in colpa». Erano orgogliosi del padre; oltre all’orgoglio, racconta Giovanni, c’era la speranza che l’immissione di forze nuove e sane nella democrazia italiana riuscisse a farla uscire dalla grave crisi politica ed economica in cui si trovava già da qualche anno.
«Nel momento stesso in cui papà, cinquantenne, accettava responsabilità politiche e istituzionali, mi ricordava però, citando un’enciclica di Giovanni XXIII, che per una politica efficace, oltre alla santità (vocazione di ogni battezzato), occorrono conoscenza e competenza. A me, allora studente, ricordava che alla mia età il modo principale per cambiare il mondo era quello di continuare a studiare, per acquisire conoscenze e competenze che ancora non avevo».
A chi non ha mai conosciuto la figura di Vittorio, suo figlio lo descrive così: «Fede, ottimismo, sicurezza di sé, questo era mio padre. Ricordo lunghe chiacchierate notturne con lui, spesso impegnative. Mi sarebbe piaciuto ereditare la sua capacità di ascoltare a lungo i figli e cogliere la verità che emerge in un dialogo sincero e privo di pregiudizi; temo invece di essere stato un padre impulsivo e poco paziente; ormai nonno, spero di saper ascoltare almeno i nipotini».
Vittorio Bachelet non è stato solo una figura di spicco nella storia del nostro Paese, della Chiesa e dell’Azione cattolica, ma anche un padre amorevole e presente. Questo racconto del figlio offre l’opportunità di scoprire non solo l’uomo dei grandi ideali, ma anche il Vittorio intimo, capace di gesti semplici e profondi, come dimostra l’ultima telefonata fatta a Giovanni: «Gli chiesi: come stai? Lui mi rispose: “bene, quando ti sento”». A quarantacinque anni dalla tragica scomparsa, Vittorio Bachelet non appartiene solo alla storia: il suo messaggio di fede, speranza e impegno concreto, continua a parlare al presente e ha ancora molto da insegnare per il futuro.