Alcuni giovani Indigeni del comitato organizzatore della pre-giornata di Soloy
«Tutto è cominciato a Cracovia». Allora, Emilda Santos Montezuma, aveva 17 anni e con tre amici del suo popolo, i Ngäbe, si era recata nella città polacca per la Gmg del 2016. «Per l’occasione, avevamo scelto di identificarci esplicitamente come indigeni, indossando alcuni abiti e ornamenti tradizionali. Quasi nessuno degli altri ragazzi nativi, latinoamericani e non, l’aveva fatto. Anzi, cercavano di confondersi il più possibile. Così è sorta la domanda: che cosa rappresenta una Gmg per gli indigeni cattolici?», racconta Emilda, studentessa in tecnica dell’aviazione e coordinatrice del comitato organizzatore della «pre-giornata indigena» di Soloy. La prima nella storia delle Gmg. In questo enclave dell’occidente panamense, all’interno della diocesi di David, dove si concentrano le comunità Ngöbe e Bugle, dal 17 al 20 gennaio, si ritroveranno i nativi delle varie parti del pianeta. «Certo, la maggior parte verranno dall’America Latina, per questioni di costi. Al momento, hanno confermato la presenza 150 indigeni di vari Paesi del Continente, dal Messico alla Bolivia, dall’Honduras all’Argentina. Altri 350 sono panamensi, nazione dove, al contrario dell’immaginario comune, il 12-13% della popolazione è nativa. Abbiamo, però, ricevuto iscrizioni anche dalla Nigeria, dal Mozambico, dal Botswana e delle Filippine. Proprio in questi giorni stiamo lavorando per risolvere i problemi di visto del gruppo nigeriano », spiega padre Joe Fitzgerald, statunitense di nascita e panamense di adozione, dato che da tredici anni vive nella nazione centroamericana e accompagna i nativi. Come parroco di Soloy, ora, è in prima linea nella preparazione dell’evento. A cui prenderà parte anche una delegazione dei popoli amazzonici. In tal modo, la prossima Gmg assume il valore di un ponte metaforico tra il Sinodo appena terminato, dedicato ai giovani, e quello dell’ottobre 2019, sull’Amazzonia.
Un evento rappresentativo
Gli organizzatori ipotizzano la presenza a Soloy di 6-700 ragazzi. Non si tratta di grandi numeri in termini assoluti. Ma il summit sarà altamente rappresentativo della «biodiversità etnica e culturale» indigena. I differenti popoli – con grandi sforzi, date le magre risorse a causa dell’emarginazione sociale ed economica – hanno inviato delegazioni piccolissime, spesso una o due persone. Queste si faranno portavoce delle rispettive comunità e, al ritorno, riferiranno loro spunti e riflessioni emersi. Nell’elenco provvisorio dei partecipanti, figurano già esponenti di oltre trenta differenti etnie. Tra gli iscritti, inoltre, ci sono anche ragazzi non cattolici. «Siamo molto soddisfatti – afferma padre Felix de Lama, religioso claretiano e coordinatore della Pastorale indigena dell’arcidiocesi di Panama City –. All’inizio, per questioni organizzative, avevamo pensato a un incontro degli indigeni centroamericani. Poi l’abbiamo esteso al resto del Continente e, infine, al mondo. L’entusiasmo con cui l’iniziativa è stata ricevuta ci sta dimostrando che è stata la scelta giusta. I giovani nativi delle varie latitudini affrontano sfide simili. In primo luogo, quella di aprirsi al resto della società senza rinunciare alle proprie radici. Essi, inoltre, sono impegnati nella medesima battaglia per la difesa della casa comune dalla fame di risorse che rischia di divorarla ».
Tra identità e futuro
Memoria e presente sarà il filo rosso che cucirà insieme le tre giornate, ciascuna dedicata a un aspetto peculiare. L’identità sarà il tema del venerdì 18 gennaio mentre il sabato si rifletterà sull’armonia con la Madre Terra e con l’altro alla luce della Laudato si’. La domenica i giovani proveranno a immaginare un «altro mondo possibile», più vicino al «buon vivere» dei nativi e al Regno annunciato dal Vangelo. «L’idea di ritagliare un momento per i nativi all’interno della Gmg non vuole separarli dagli altri ragazzi, con cui poi si ritroveranno nella capitale. Al contrario: la pregiornata cerca di rafforzare il processo di inclusione sociale ed ecclesiale dei giovani nativi. Vogliamo dare loro uno spazio per scambiarsi esperienze e lavorare sulla loro identità. Il fine è quello di rafforzare il protagonismo degli indios nella società e nella Chiesa. Nonché aiutarli a plasmare il volto indigeno di quest’ultima», sottolinea il parroco di Soloy, dove della Pastorale indigena fa parte un’ottantina di ragazzi. In attesa dell’avvio dei lavori, intanto, la pregiornata sta già producendo i primi effetti collaterali. «Sull’onda dell’iniziativa, in altre zone di Panama, come nel Darién, la Pastorale indigena va prendendo forma», dice padre Joe. Poi sorride e aggiunge: «Ed è solo l’inizio...».