martedì 29 novembre 2022
La vita online ormai appartiene alla quotidianità di tutti e influisce profondamente su ogni dimensione dell'esistenza, anche quella religiosa
La fede nel mondo digitale: virtuale è reale
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All’interno di un ciclo di seminari che si sono svolti nelle scorse settimane a Perugia, il professor Mark Deuze dell’Università di Amsterdam ha utilizzato l’hashtag #lifeinmedia (la vita nei media) per spiegare la nostra condizione attuale. Viviamo in un mondo in cui i confini fra “reale” e “virtuale” - tra media e vita - sono diventati porosi, si sono disintegrati o addirittura sono scomparsi.

Grazie ai media, con i media e nei media ci innamoriamo, rimaniamo in contatto con un parente ricoverato in ospedale, facciamo acquisti, ci informiamo, condividiamo i nostri sentimenti e la nostra fede. Insomma, viviamo. La prospettiva espressa dal professor Mark Deuze mi è parsa interessante perché capovolge il modo in cui spesso cerchiamo di definire il ruolo del digitale nella nostra vita: il focus dell’attenzione non è più sull’online che penetra nella vita quotidiana (onlife per citare Luciano Floridi), ma sulla vita stessa che è “nei media”, sancendo l’impossibilità di districare la matassa e separare qualcosa che è ormai fuso insieme, quasi in una sorta di “The Truman Show”.

L’attuale ecosistema mediale, in cui la nostra vita è immersa, ha una natura ibrida: le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno attivato un processo simultaneo di frammentazione e integrazione in cui i media tradizionali, come giornali e televisione, si fondono e si adattano ai formati, ai generi, alle norme prodotti dalle piattaforme digitali. Un’ibridazione che si manifesta anche tramite la compresenza di contenuti nati al di fuori delle organizzazioni di stampa tradizionali. Accanto all’informazione prodotta da professionisti, è importante considerare i cosiddetti contenuti generati dagli utenti.

In questo contesto, quale “mondo religioso” è presente nei media? Quali considerazioni trarre? Una riflessione di questo tipo deve necessariamente tenere conto, da un lato, della molteplicità di attori diversi che intervengono: istituzioni religiose, politiche, mediali accanto a singoli cittadini e forme organizzate della società civile. Dall’altro, dei diversi tipi di contenuti che vengono veicolati. Per quanto riguarda gli attori ecclesiali, emerge comprensibilmente la voce del Papa, anche se ciò che risulta non è più solo un’immagine vaticana come accadeva fino a qualche anno fa. Sempre più spesso diventano visibili le vite di sacerdoti, religiose e religiosi. Tramite i social media, preti e suore acquisiscono visibilità perché protagonisti di fatti “stravaganti” o per la loro capacità di utilizzo e adattamento ai linguaggi mediali in grado di renderli dei veri e propri “influencer”.

Sono anche espressione di una dimensione locale che ha ancora tanto peso nella nostra vita quotidiana, come dimostra il grande interesse registrato dalle testate giornalistiche online che raccontano i fatti che avvengono nelle comunità di cui facciamo parte. Troviamo poi attori politici che fanno ricorso all’immaginario cristiano-cattolico nella loro strategia comunicativa: un fenomeno cui stiamo assistendo negli ultimi tempi e che fa registrare un cambiamento di prospettiva nel dibattito pubblico sulla religione e in particolare sul ricorso ai simboli religiosi, trasformando i termini della discussione dalla legittimità dell’intervento della Chiesa nel dibattito pubblico alla legittimità degli attori politici di ricorre alla religione.

Infine, non possiamo dimenticare le tante discussioni online su temi e argomenti di fede, prodotti da fedeli e cittadini, compresi coloro che si dichiarano distanti dalla Chiesa. In effetti a ben guardare, emerge una domanda di religioso in forme diverse da quelle tradizionali, che rischiamo di sottovalutare se non teniamo nella debita considerazione le caratteristiche dell’ecosistema mediale nel quale siamo immersi in questo mondo contemporaneo. L’online è ormai la nostra condizione quotidiana o, per dirla con le parole del professor Mark Deuze, i media sono la nostra vita (#lifeinmedia). Ciò che occorre chiedersi è se questa domanda incontra un’offerta in grado di soddisfarla.

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