Il mio fratello più piccolo aveva nove anni meno di me; sette e mezzo meno dell'altro mio fratello. Prima che nascesse lo chiamavamo «la sorellina». Ma quando nacque - di maggio, il giorno 9 - fummo felici. Era bellissimo, fin da bambino. E poi sempre, per tutta la sua breve vita. O più che bello, attraente, accattivante, in modo straordinario. E assai popolare. Gli amoretti, anche con ragazze più grandi, ne avevano reso precoce l'adolescenza. Sbagliò poi le scelte importanti: forse per eccesso d'ambizioni e per non volerne pagare i prezzi; o anche perché la fortuna lo abbandonava. Fallì con apparente garbo: ma disastrosamente. Finché non morì, metà degli anni '60, in modo atroce. Lasciando due figli piccolissimi, uno dei quali lattante. Per alcuni giorni, in ospedale, lo avevano tenuto a vegetare le macchine. Nostro padre, la cui salute era distrutta anche da altro, ogni mattina interrompeva il lavoro di medico per la visita alla tomba, con le rose: dopo un paio di mesi, venuto il 9 maggio, nostra madre gli domandò quante ne doveva comprare. Lui rispose: quanti anni avrebbe compiuto? Ventisette rose. Ne ho scritto per tutta la vita: senza nominarlo mai, senza che nessuno sapesse che ne parlavo. Adesso adopero queste poche righe per chiedere a Dio, ancora una volta, misericordia per lui.
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