Le fiamme di Notre Dame sono spente ma non le emozioni, anche perché le immagini che ce le hanno suscitate sono continuamente riproposte, secondo la prassi ormai irrimediabile del sistema dei media. Provo a estraniarmi da esse e ad analizzare, limitatamente alla Rete, quella che è cominciata a circolare dalle 18.50 di lunedì 15 aprile come una speciale “notizia religiosa” in cui convivono molte angolature. C'è una chiave di lettura in cui l'elemento religioso della notizia è sostanzialmente assorbito in quello storico-culturale: il ruolo simbolico che viene riconosciuto a questo edificio prescinde cioè dalla sua funzione di luogo di culto, a visitarlo in massa erano turisti più che pellegrini, ed erano così creduloni da ignorare i rifacimenti ottocenteschi. C'è un approccio che connette esplicitamente il valore simbolico di Notre Dame all'identità religiosa (dell'Europa, della Francia, di Parigi), con sincera sofferenza se chi scrive si riconosce figlio della Chiesa. In tale prospettiva si parla di «simbolo del cristianesimo», ma anche di «simbolo della cristianità» (o «della cattolicità»), senza, in quest'ultimo caso, lasciar intendere se si sia scelto semplicemente un sinonimo, o se si voglia evocare la societas christiana che fu, e con quanta nostalgia. C'è infatti anche una pista che, ricordando i disordini del periodo rivoluzionario, vede l'incendio della cattedrale di Parigi come la metafora di una secolarizzazione che può permettersi di fare a meno di Dio e della Chiesa e quindi, a maggior ragione, dei luoghi della pratica della fede, essendo i praticanti in via d'estinzione. E infine si può veder connesso l'incidente, ancorché gravissimo, di ieri con eventi analoghi, in Francia e altrove, ma prodotti in base a logiche degli «scontri di civiltà». Ho cercato un titolo che, più di altri, tenesse insieme tutte queste letture, o almeno la maggior parte di esse. Punterei su quello del quotidiano francese d'ispirazione cristiana “La Croix”: «Il cuore in cenere».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: