Circola in Rete da qualche giorno un'immagine che ritrae padre Sosa, generale dei gesuiti, seduto in un tempio buddhista in meditazione insieme a dei giovani monaci. Piuttosto che la scontata lapidazione comminatagli dalla blogosfera ecclesiale antimoderna, ha attirato la mia attenzione la ricca conversazione innescata da un post di Paolo Fucili su Facebook: essa infatti è durata un giorno e mezzo – un tempo eterno, secondo i cronometri dei social network – e vi sono intervenute, sino alle ore piccole, altre 28 persone, per un totale di 139 interlocuzioni. Ne riassumerei così l'oggetto: "Il comportamento scelto da padre Sosa è stato opportuno in ordine alla testimonianza della propria identità che un cristiano è tenuto a dare, a maggior ragione se nella Chiesa ricopre alte responsabilità?", e personalmente rispondo che ho trovato molto soddisfacente la contestualizzazione offerta da Paolo Pegoraro (che attinge al sito della Curia generale della Compagnia di Gesù tinyurl.com/ybn7ywlx ), la quale ribalta la prospettiva assunta dai "critici".
Ma quel che mi interessa qui sottolineare è il mix di qualità, libertà e gratuità che quella conversazione ha offerto. Tutti attributi che non vengono sminuiti (anzi...) dalla circostanza che essa si è svolta entro una comunità relativamente omogenea, fatta in maggioranza di giornalisti-comunicatori, che forse si conoscono anche di persona. Ho ammirato l'evidente rispetto che ciascun interlocutore aveva per gli altri, pur nell'esplicita e ferma diversità di vedute. Non mi è dispiaciuto se, in alcuni momenti, qualcuno ha ceduto alla scorciatoia della battuta brillante, ma ho altrettanto apprezzato che qualcun altro sia riuscito a riportare lo scambio su binari più concreti e costruttivi. L'ho trovato in sostanza un esempio non perfetto, ma certamente calzante del contributo che mi aspetto dalla Rete al cantiere dell'opinione pubblica nella Chiesa. E confido che chi vi ha partecipato o solo assistito ne abbia tratto elementi per ispessire il suo giudizio sui fatti.
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