Pur considerandomi, per evidenti motivi, un «cultore della materia», raramente mi sono sentito così interpellato dal messaggio pontificio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (tinyurl.com/ycwbfbx6) come quest'anno. E non mi pare di essere il solo, a giudicare dalle reazioni che ho colto nel largo della Rete e nel piccolo del mio profilo Facebook. La lettura che il documento offre del fenomeno delle fake news, definite come «informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore», è abbastanza lucida da non temere il confronto con le molte analisi lette e udite negli scorsi mesi. A tale lettura «tecnica» si accompagnano riferimenti forti - giacché si evoca la «logica del serpente» all'opera nel terzo capitolo della Genesi - ai tratti fondanti della fede cristiana, tali da riconsegnare al giornalista che cerca di ispirare a tale fede la propria etica professionale le più robuste motivazioni ad agire contro la disinformazione: a prevenire, riconoscere, identificare, svelare, arginare, contrastare, difendersi, liberarsi (tutti verbi tratti dal documento).
E anche se le indicazioni sugli antidoti alle fake news occupano nel messaggio meno spazio della loro descrizione, le parole-chiave che le percorrono: persona, responsabilità, custodia, servizio, pace, sono sufficientemente eloquenti di per sé. Anche perché sono vidimate dalla lunga preghiera, di esplicita ispirazione francescana, posta a conclusione del messaggio. Sono andato indietro con la memoria e anche con il mouse: spesso, naturalmente, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno assicurato le proprie e raccomandato le nostre orazioni in vista della Giornata delle comunicazioni sociali, ma né loro, né lo stesso Francesco, nei messaggi precedenti a questo, ci avevano ancora offerto una specifica «preghiera del giornalista». Mettiamola tra i "preferiti", come già ha suggerito la pagina Facebook di "Avvenire" (tinyurl.com/y8jwzwgq), e teniamocela cara.
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