La “vita liturgico-pastorale” è, della dozzina di sezioni in cui classifico quotidianamente i post in cui mi imbatto, tra le meno vivaci. Questo fenomeno non mi ha mai stupito: si spiega con le semplici logiche della “notiziabilità”, alle quali neppure la disintermediazione digitale sfugge. Fanno eccezione i siti che commentano le letture della domenica e quelli che si occupano, talvolta con malevolenza, di liturgie “creative”; e infatti, in questa rubrica ho spesso riferito degli uni e degli altri. Ho pertanto accolto come una novità il fatto che, negli ultimi giorni, questa sezione sia stata la seconda più ricca di titoli dopo quella, pressoché imbattibile, intestata a Papa Francesco. Due quelli che mi attirano di più: “Andare a messa? Aiuta la salute mentale”, e “Don Asdrubale e l'ambone”. Il primo, riportato da ChurchPOP, mi delude quanto a freschezza: per i tre quarti è infatti la ripresa di un post dell'Unione cristiani cattolici razionali del 2 febbraio scorso ( bit.ly/2kO7jiL ). Ma non mi delude quanto a contenuti, giacché la fonte di tanto ottimismo è una ricerca dell'assai affidabile Pew Research Center, che titolava un po' più sobriamente “Quale rapporto tra l'appartenenza religiosa e la felicità, l'impegno civile e la salute nel mondo” una ricerca svolta a livello mondiale (24 Paesi, oltre agli Stati Uniti). Il secondo, uscito su Settimananews ( bit.ly/2mn2P39 ), si inserisce in una serie, appena inaugurata, di articoli di argomento liturgico di Elide Siviero, del Servizio per il catecumenato della diocesi di Padova. L'autrice muove di volta in volta dall'osservazione di due sacerdoti di fantasia, l'anziano e abitudinario don Ubaldo e il giovane ed estroso don Asdrubale, per sottolineare con tratti decisi cosa è centrale in ciascun momento della Messa. L'ultimo post definisce l'omelia richiamando tutta la ricchezza simbolica del luogo dal quale è proclamata, “simbolo della tomba vuota dalla quale esce l'annuncio della risurrezione”: cioè la notizia più importante che abbiamo da dare.
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