giovedì 26 gennaio 2017
Domenica ("Repubblica", p. 46: «Tutti i silenzi di Dio») Roberto Esposito rievoca a lungo il tema del «Silenzio», partendo dal romanzo del giapponese Shusaku Endo cui accosta l'omonimo recente film di Martin Scorsese. Al grido dell'uomo – eterno Giobbe biblico – pare rispondere sempre e comunque un vuoto totale. Vi trovo rimandi all'antico amico Sergio Quinzio, Edith Stein, Dietrich Bonhoeffer, Auschwitz, ecc. Tema radicale ed eterno.
Per coincidenza, stesso giorno, sul "Domenicale" del "Sole" (p. 32) Gianfranco Ravasi affronta il tema de "l'oltrevita" – teologia, storia, filosofia – richiamando Ernst Bloch, la teologia della speranza di Jurgen Moltmann e la molteplice tematica del cosiddetto «aldilà», che consente di «strappare la vita» alla morte, «ultimo nemico» (I Cor. 15, 26). Un tema eterno, ma troppo spesso e a lungo come dimenticato anche nella predicazione e nella pastorale della Chiesa, e forse di tutte le Chiese. Ripensare i "Novissimi", allora? E si può cominciare annotando che anche due recenti illustri pubblicazioni di ecclesiastici di gran nome continuano a usare un linguaggio del tutto improprio, e addirittura contraddittorio.
Esempio secco: dire che «C'è un dopo» è improprio e contraddittorio. La vita eterna non è come tale «dopo», perché la morte è uscita dal tempo, approdo alla presenza di Dio che non è né prima, né durante, né dopo: è, semplicemente è. Altro. Il tempo continua a passare da questa parte, per noi, ma per chi muore c'è appunto "Altro", e non va avanti. Ogni tentativo di "coniugare" il tempo con l'eternità induce in una prospettiva falsa. È la forza di quel «Prima che Abramo fosse, Io sono» sulla labbra di Gesù (Gv. 13, 19). Finché si continua nell'equivoco del «dopo» tutto resta confuso nel morire, mentre Lui è «la Vita», che ha sconfitto la morte.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI