A Tomas tutti ripetono che non è stata colpa sua, ma questa non è necessariamente una consolazione. Nevicava, era buio e i bambini, a quell'ora, non avrebbero dovuto giocare per strada. Tomas ha frenato subito e per qualche minuto, con il piccolo Christopher aggrappato alle spalle, ha avuto l'illusione di avercela fatta. Sotto le ruote del suo fuoristrada è però finito il fratello del ragazzino. Uno sarà preso, l'altro lasciato, come annuncia il Vangelo. Essere stato lasciato è la ferita di Christopher, non essere neppure colpevole è il dramma di Tomas.È su questa scacchiera emotiva che si gioca la trama di Ritorno alla vita, il film che Wim Wenders ha diretto basandosi sulla sceneggiatura di Bjørn Olaf Johannessen. Cast di richiamo, a partire dal protagonista, l'introverso scrittore Tomas, impersonato da un accigliato ed enigmatico di James Franco. Quanto a Kate, la madre di Christopher, ha il volto irregolare e non meno insondabile di Charlotte Gainsbourg, che torna così a interpretare il ruolo della mater dolorosa che già le era toccato, per esempio, nel corrusco Antichrist di Lars von Trier. Ma la stessa attrice aveva una parte importante anche in 21 grammi di Alejandro González Iñárritu, il film che una dozzina di anni fa si soffermava su una storia per versi simile a questa di Ritorno alla vita, rielaborandola in un'incalzante alternanza di piani narrativi. Wenders – che a sua volta ritorna dopo un lungo intervallo al cinema di finzione – opera una scelta opposta, optando per una scansione lineare che non esclude bruschi salti temporali, puntualmente sottolineati da ricorrenti cartelli esplicativi.Il significato del film resta intatto, consegnato com'è al confronto finale tra Tomas e l'ormai adolescente Christopher (un promettente Robert Naylor) e, in misura minore, allo scontro con l'ex compagna Sara (Rachel McAdams). L'impressione, però, è che il Wenders di Paris Texas e del Cielo sopra Berlino si trovi ormai più a suo agio con il cinema della realtà, come dimostrano il recente Il sale della terra, sull'opera del fotografo Sebastião Salgado, e più ancora il magnifico Pina (2011), dove l'omaggio postumo alla danzatrice Pina Bausch si risolveva in una meditazione sul lutto ancora più profonda di quella suggerita da Ritorno alla vita.Alessandro Zaccuri
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