Dopo aver espresso in un precedente libro (E se non fosse una buona battaglia? uscito dal Mulino) tutto il suo scetticismo realistico e razionale sull'utilità e sul futuro dell'istruzione umanistica, ora Claudio Giunta, dantista, storico della letteratura, scrittore, mostra la sua vocazione di umanista pratico e pedagogico nel volume Come non scrivere, sottotitolo: Consigli ed esempi da seguire, trappole e scemenze da evitare, quando si scrive in italiano (Utet, pp. 328, euro 16). Dimostra così che il modo migliore per arginare lo scetticismo consiste nel darsi da fare e decidere, intanto, come usare utilmente e pubblicamente la propria formazione umanistica. La traduzione delle nostre idee, emozioni e incertezze in una forma linguistica chiara, accurata, efficacemente comunicativa, è una pratica di cui non possiamo fare a meno, comunque vada il mondo. Se c'è una cosa sulla quale non si può essere scettici è la capacità, l'arte di mettere e mantenere in un contatto vivo e vivace i contenuti di coscienza e le nostre esperienze con la lingua e l'insieme delle sue risorse espressive e comunicative. Ma se si parla di arte di scrivere, cercando per prima cosa di non scrivere male, si dovrà parlare prima o poi di arte di leggere bene e non male. Si scrive male se si legge male, perché scrivere è anche, inevitabilmente, un leggersi scrivendo, è un sapersi rileggere dopo aver scritto, per migliorarsi e correggersi. Nel libro di Giunta abbondano gli esempi buoni (da seguire) e i cattivi (da evitare) di prosa italiana. Che cos'è l'umanesimo letterario se non una proposta di buoni esempi? A proposito di scetticismo o di fede umanistica, e a proposito di scrivere, oltre che le pratiche scolastiche e universitarie, viene in mente la passione per le scuole di scrittura "creativa" che ci è venuta dagli Stati Uniti negli ultimi decenni: scuole in cui si dovrebbe insegnare a essere o diventare narratori o poeti. Personalmente non ci credo. Né credo che dei veri potenziali scrittori possano crederci. A meno che non si creda che ogni genere di scrittura sia a suo modo creativa. Il primo compito (e mi pare di essere d'accordo con Giunta) è occuparsi della qualità della prosa italiana comunicativa e argomentativa, didascalica e giornalistica. Chi aspira ad avere uno stile, deve prima imparare a farsi capire. È un paradosso, ma oggi in Italia la peggiore prosa è quella degli specialisti e degli esperti, dei filosofi e degli economisti. Caste autogene che si perpetuano con l'uso di gerghi inaccessibili ai più.
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