Clemente Rebora prete e poeta tra i massimi italiani del XX secolo nel segno di una vita spesa a servire gli altri e a scrivere versi la cui bellezza artistica trasmette il messaggio del Vangelo. Nasce a Milano il 6 gennaio 1885 da famiglia genovese di tradizioni rigidamente estranee alla religione, babbo garibaldino reduce di Mentana e anticlericale. Roma è capitale e il Papa è “prigioniero” sul colle Vaticano, non più al Quirinale…Cresce libero: dopo il liceo studia medicina a Padova, ma dopo un anno cambia: lettere a Milano. Si laurea e sale in cattedra, mentre inizia anche a scrivere versi su La Voce di Firenze, per intenderci quella, tra altri, di Giuseppe Prezzolini e Ardengo Soffici. Grande scuola… Nel 1913, ventottenne, la prima opera, Frammenti Lirici, subito gran successo e il primo amore per Lidia Matus, artista ebrea russa che dura fino al 1918, quando lui torna vivo dalla «inutile strage» della Prima Guerra mondiale, come la chiamò Benedetto XV. Ha combattuto da ufficiale ed è stato ferito alla testa da una granata che gli terremota anche l'anima.
Torna, ma vuol restare solo, lascia Lidia Matus, sceglie di insegnare nelle scuole serali, allora dei poveri, e comincia a donare gran parte dello stipendio alla povera gente. A nome di chi? E di che cosa? Ripensandoci, dopo, vedrà in questa scelta – parola sua – «il Battesimo ignorato, ma già operante». Il resto della sua vita da allora sono poesie: nel 1922 pubblica Canti anonimi, e si fa editore di Sedici libretti di vita, collezione di scritti «mistici» nei secoli, che illustra di persona in viaggi ripetuti per l'Italia. Solo e sempre discreto, quasi straniero ed eremita da tutti, fuorché dai suoi versi e dai suoi poveri. Perché? Non lo sa, o non se lo dice: è così. Ma ecco che arriva l'ora dell'incontro decisivo con Alfredo Ildefonso Schuster, benedettino, cardinale e arcivescovo di Milano: conquistato, se ne fa discepolo, riceve la Cresima e si avvicina a una Congregazione, allora recente fondata da don Antonio Rosmini, filosofo, teologo, riformatore, fondatore e futuro beato…
In realtà il vero incontro, mediatori Schuster e Rosmini, è con Cristo, che segna la sua vita fino all'ultimo giorno. Nel 1931 è novizio rosminiano a Domodossola, nel 1933 emette i voti religiosi e nel 1936 è prete. Gli ultimi venti anni scorrono pieni di lavoro da prete tra i poveri, i malati e le prostitute che acconsentono a liberarsi. Tra i primi preti di strada, diremmo oggi… E la poesia? Torna alla grande, matura, raffinata e commossa negli ultimi due anni, quando ormai è troppo malato per darsi da fare fuori. Ecco dunque nel 1955 Curriculum Vitae, e nel 1957 Canti dell'infermità. Muore a Stresa in quello stesso anno il 1° novembre.
E i suoi versi? A sorpresa, e da sempre, anche negli anni della sua lontananza, sembrano già pieni di Cristo. Ecco dai Canti anonimi, del 1920, parecchi anni prima della conversione: Dall'immagine tesa/vigilo l'istante con imminenza di attesa e non aspetto nessuno: nell'ombra accesa spio il campanello che impercettibile spande un polline di suono - e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno: ma deve venire; verrà, se resisto, a sbocciare non visto, verrà d'improvviso, quando meno l'avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come ristoro delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio. Sì, quel “bisbiglio” è venuto, e si è fatto voce nel Canto della vita di Clemente Maria Rebora, gran prete e grande poeta.
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