martedì 18 ottobre 2011
Ogni tanto, tutti dovrebbero chiedersi: «Perché faccio questo lavoro? L'ho scelto io? Mi hanno obbligato a farlo? Potendo, avrei fatto qualcosa di diverso? Era il mio sogno? O è stata una necessità?» Chi insegna, queste domande deve farsele più spesso degli altri. Me le sono fatte molte volte anch'io: quando mi sentivo inadeguato con i bambini, quando mi sembrava di non aver saputo dare la risposta giusta a un alunno che non avevo capito. Mi chiedevo: che cosa significa istruire? E che cosa significa educare? Sono due cose distinte? O devono andare insieme? Naturalmente gli alunni non conoscevano i miei dubbi. Anche se non mi vergognavo di dire loro che in certe situazioni dovevano aiutarmi a prendere la decisione giusta per il bene di tutti. Ma le mie difficoltà le superavo una alla volta, perché avevo chiare nella testa le due ragioni fondamentali per cui un giorno avevo deciso che avrei fatto il maestro. Innanzitutto, volevo formare dei bambini lettori, innamorati delle storie, della lingua, delle parole. Erano state belle e intense le emozioni che mi avevano incatenato a una vicenda o a un personaggio dei libri che avevo comprato sulle bancarelle da ragazzo, con i pochi soldi che guadagnavo lavorando. Erano spesso libri ingialliti, polverosi, squinternati. Ma li amavo di più per questo. A volte mi avevano consolato, a volte mi avevano fatto sognare, a volte mi avevano dato l'impressione di essere dei fari in un mare tempestoso di preoccupazioni infantili. Non è un luogo comune ma una profonda verità affermare che la scrittura e le storie possono salvare la vita, di un bambino come di un adulto. Anche i miei alunni avrebbero attraversato dei momenti bui, altri in cui sarebbero stati preda di dubbi e timori. Anch'essi avrebbero potuto trovare nei libri e nelle storie dei magici stivali per superare ostacoli, paludi e abissi. Perciò diventai subito con loro appassionato lettore e contastorie. Avevo studiato facendo molti sacrifici. Dunque amavo la scuola, il sapere, il conoscere. E questo amore per un luogo dove ci si incontra e ci si misura con gli altri e con se stessi volevo che si installasse nei miei alunni sin dal primo giorno in cui si affacciavano in un'aula scolastica. Perciò ho sempre fatto di tutto perché la scuola fosse un posto dove è bello stare, dove è bello vivere, dove è bello crescere. Almeno per quanto dipendeva da me.
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