venerdì 10 gennaio 2014
“Il corpo vivo del perdono” (Manifesto" 8/1, p.10): Marco Pacioni su "“Delitto e perdono”, libro di Adriano Prosperi sulla pena di morte dalle Catacombe alle “Compagnie di giustizia” e alla molteplice realtà del volontariato che oggi si occupa di defunti e morenti. Leggi che sempre e ovunque sul morire serve una «legittimazione» religiosa, fino al caso del «supplizio» finale, ma con una differenza tutta «italiana, data dalla presenza di un potere pervasivo che è in primo luogo di natura spirituale»: grosso “tallone d'Achille” dovuto alla «premura della salvezza dell'anima», con varie conseguenze anche in polemiche recenti (Priebke, ecc.). Prosperi, concedendo che oggi «la Chiesa cattolica ha sposato la tesi della sacralità della vita umana» e rifiuta ogni pena capitale, parla anche di «malati terminali», e si potrebbe approfondire su eutanasia, aborto e pena di morte frequente, come in Cina e Vietnam del Nord… Con tutto il rispetto per gli studi storici di Prosperi, come mai al "Manifesto", che in prima pagina continua a professarsi «Quotidiano comunista», pare ci si lamenti solo di quel potere pervasivo in primo luogo di natura spirituale" di cui sopra? Bella domanda. E la risposta?
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