sabato 18 giugno 2022
Torno a Michele Pellegrino, prete, vescovo e cardinale, innanzitutto correggendo un mio errore: nasce non presso Como, ma presso Cuneo, quindi piemontese, e all'occorrenza «ruvido». Nei primi anni '70 volle incontrarmi a proposito del mio primo scritto su Teresa di Lisieux: amicizia rispettosa e fedele, per me lezione di vita e di ricerca teologica. Nel 1977, come detto, si dimise da arcivescovo di Torino, anche resistendo al primo rifiuto di Paolo VI, e accolse con stima e venerazione il suo successore Anastasio Ballestrero, carmelitano e grande uomo di sapienza teologica e spiritualità. Da sempre quando veniva a Roma abitava presso l'istituzione Teresiana, al Nomentano. L'accompagnava in treno don Franco Peradotto, suo braccio destro in arcidiocesi, e a Termini me lo affidava. Gli facevo da autista: un mini segretario. Venni così a conoscenza di alcune sue illustri discepole studiose e docenti di storia, in particolare della grande Maria Grazia Mara, che lavorò su tante fonti della patristica, e di Elena Cavalcanti, morta purtroppo ancora giovane. Ricordo qui che alla morte della prima, papa Francesco, “piemontese” anche lui, volle essere presente alle esequie, qui a Roma: un omaggio – penso – anche al suo maestro Michele Pellegrino. Per me ogni volta grandi lezioni di cultura storica e di approfondimenti sui testi antichi. Dopo il Concilio i nostri incontri continuarono, e lui a metà anni 70, ancora a Torino, provò senza successo a difendermi da accuse infondate in varie circostanze per me dolorose, e insieme esortandomi all'“obbedienza sacerdotale”, cui non credo di essere mai venuto meno, cui Egli dedicò uno studio speciale edito da Esperienze, e mi raccomandò più volte la prudenza, forse con minore successo. Arrivò l'estate dei tre Papi, nel 1978. Il 23 agosto, vigilia immediata del primo Conclave lo accompagnai ad Assisi per aprire la consueta Settimana di studi alla Cittadella, e in macchina alla mia domanda sui possibili esiti dell'elezione rispose immediato: «Se non eleggiamo un italiano Papa sarà Wojtyla». Si sa com'è andata: Albino Luciani patriarca di Venezia fu l'ultimo Papa italiano: per 3 volte il successore di Pietro è giunto “di lontano”. Rivedo il profilo di Pellegrino, ripenso alla sua scelta preferenziale dei poveri e degli ultimi, guardo la realtà attuale sulla cattedra di Pietro e penso che il Pellegrino, piemontese non solo per discendenza, sarebbe stato ben felice di accoglierne non solo l'arrivo, ma di potere con tante ragioni dirsi anticipatore dei tempi futuri. In particolare rileggo la sua prima Lettera pastorale, Camminare insieme. Chiesa in cammino, Chiesa in uscita, Chiesa ospedale da campo, e anche Chiesa laboratorio di cultura che favorisce ricerca e rinnovamento. Ripenso a papa Giovanni: «La Parola di Dio non cambia, siamo noi che via via la intendiamo meglio!». E torno al “mio” Pellegrino: capace di consenso ubbidiente di una intera vita e anche di dissenso ragionevole, pur doloroso come dimostrato dopo il Convegno ecclesiale italiano che nel 1975 operò scelte che di fatto sono state anche causa di ritardi e mancato rinnovamento per tanti anni. Non riesco a ricordare se con lui si parlò anche di una celebre citazione di Pio XII, tratta dagli scritti di padre Virginio Rotondi che riporto tra poco, ma che nei fatti è sempre stata anche la sua guida: «Bisogna camminare, e mentre all'immutabilità dottrinale dogmatica e morale della Chiesa provvede il Papato con la sua evidente perennità, alla mobilità di essa cioè al suo avanzare con i secoli essendo sempre del suo secolo provvede la diversità dei Papi». Forse non ne parlammo, ma a me pare che sia stata anche la parola d'ordine della vita, della missione, del ministero presbiterale ed episcopale, della cultura storica e scientifica di Michele Pellegrino, maestro di dottrina, di vita e di missione: grande “Confratello d'Italia”.
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