Un istituto di ricerca che nelle Filippine conduce ogni fine anno un sondaggio sul grado di ottimismo della popolazione, ha rilevato che la percentuale dei filippini che confidano che il futuro possa essere migliore non è mai scesa sotto il 90% dal 2010. Ed è stata sempre superiore all’80% da quando questa rilevazione è cominciata nel 2000. Persino durante la pandemia da Covid 19 il 93% degli intervistati confidava di nutrire speranza. Mentre nel 2024 la quota della popolazione adulta filippina fiduciosa nei confronti del futuro è salita addirittura al 96%.
A riprendere questi dati è stato in questi giorni il presidente della Conferenza episcopale, il vescovo di Kalookan Pablo Virgilio David, creato cardinale da papa Francesco nel concistoro tenuto il mese scorso. E lo ha fatto ponendoli in relazione al Giubileo appena cominciato, che ha al centro proprio l’invito ad essere «pellegrini di speranza». In una lettera pastorale indirizzata alla Chiesa filippina all’inizio dell’Anno Santo il cardinale David ha osservato che nel popolo filippino c’è come una «disposizione naturale alla speranza piuttosto che alla paura, all’ottimismo e alla resilienza piuttosto che alla delusione e al cinismo». Un atteggiamento nei confronti della vita che ha a che fare con la profonda religiosità del popolo filippino. «Per alcuni questo suona fatalista e disfattista – ha osservato il presidente della Conferenza episcopale –. Ma per molti è una dichiarazione di fiducia e di sicurezza in Dio che è potente sopra ogni cosa. Sembra che in noi ci sia una speranza duratura che nessuna calamità o catastrofe può spegnere o schiacciare».
Essere il “popolo della speranza” non è però nell’analisi del cardinale David un motivo di orgoglio, quanto una precisa responsabilità. «Molti dei nostri cittadini vivono in una povertà indicibile, in condizioni disumanizzanti e in una sofferenza inimmaginabile – osserva –. L’infinita lotta per il potere nella nostra politica ci fa chiedere dove stiamo andando come nazione. I fenomeni meteorologici intensi e imprevedibili stanno causando tanta distruzione nelle nostre comunità. La terra stessa geme di dolore e chiede aiuto».
Sono sfide che il cardinale David conosce bene, guidando la diocesi di Kalookan, una delle immense periferie della metropoli di Manila. Non a caso anche una delle frontiere più calde della terribile “guerra alla droga” che in nome della sicurezza negli scorsi anni ha visto uccidere nelle periferie migliaia di tossicodipendenti o piccoli spacciatori dagli squadroni della morte dell’ex presidente Rodrigo Duterte.
È dentro queste contraddizioni che la comunità cattolica filippina è chiamata in questo Giubileo a essere davvero il “popolo della speranza”. Luce in mezzo a tante contraddizioni: un’economia che cresce ma con un modello che continua a lasciare indietro i poveri che vivono nelle baraccopoli, una politica che resta ostaggio delle diatribe tra il clan dei Marcos e quello dei Duterte, la pacificazione nella tormentata isola di Mindanao che a maggio 2025 dovrà superare il delicato banco di prova delle prime elezioni nel Bangsamoro, la regione autonoma a maggioranza musulmana.
In tutto questo un segno importante di speranza – subito prima di Natale – è stato il ritorno a casa di Mary Jane Veloso, migrante filippina che ha passato 14 anni nel braccio della morte in Indonesia semplicemente perché ingannata dal proprio datore di lavoro per trasportare un carico di droga. «Vivere dietro le sbarre ha cambiato la mia vita trasformandomi in una persona che si è avvicinata a Dio», ha raccontato rientrando a Manila dove ha potuto finalmente riabbracciare i figli che non vedeva da anni. Il volto di una speranza concreta in un futuro migliore davvero possibile.
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